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"Come comportarsi con un lavoratore non più idoneo alla mansione?"

di puntosicuro.it / Responsabilità sociale

04/07/2011 -
L'art. 4, comma 1 della Legge n. 68/1999 prevede che, in caso di inidoneità intervenuta per infortunio sul lavoro o malattia professionale, l'infortunio o la malattia non possono costituire giustificato motivo di licenziamento quando i lavoratori possano essere addetti a mansioni equivalenti ovvero, mancando quelle, perfino inferiori alle ultime svolte.
Da ciò ne deriva l'obbligo del datore di lavoro di cercare nell'ambito dell'attività aziendale una ricollocazione adeguata alle attuali condizioni di salute del lavoratore divenuto suo malgrado inidoneo alla mansione specifica e solo laddove si sia provveduto alla ricerca in modo del tutto corretto ed equo, qualora questa non abbia esito positivo sarà possibile ricorrere come rimedio inevitabile al licenziamento del lavoratore.
La Cassazione al riguardo è chiara: "l’esercizio dell’iniziativa economica privata, garantita dall’art. 41 Cost., non è sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall’autorità giurisdizionale, ma deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro (artt. 4, 35, 36 Cost.) e alla salute (art. 32 Cost., 2087 c.c.), con la conseguenza che non viola l’art. 41 cit. il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell’organigramma aziendale" (Cass. 13/10/2009 n. 21710, Pres. ed est. Roselli, in D&L 2009, 1058).
Dunque il licenziamento intimato senza dimostrazione di aver cercato mansioni alternative è totalmente illegittimo: "è illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a seguito di sopravvenuta inidoneità fisica o psichica a svolgere le mansioni affidategli, allorché il datore di lavoro, cui incombe il relativo onere, non provi l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, sempreché il rinvenimento di idonee mansioni non debba comportare una modifica dell’assetto organizzativo aziendale" (Trib. Firenze 4/7/2003, Est. Nuvoli, in D&L 2004, con nota di Irene Romoli “Sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni affidategli: un giustificato motivo oggettivo di licenziamento”, 170).
In tal senso anche la giurisprudenza di merito: "la sopravvenuta inidoneità psicofisica del lavoratore può giustificare il licenziamento solo se il datore di lavoro offre documentazione specifica che attesti la inidoneità stessa e dia prova di aver valutato correttamente la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili" (Trib. Ravenna 29/10/2007, ord., Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Stefano Tortini, 938), che è allineata alla giurisprudenza di legittimità: "in caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del dipendente allo svolgimento delle mansioni lavorative, il datore di lavoro è tenuto a dimostrare l’impossibilità di assegnare al lavoratore mansioni anche non equivalenti, a condizione che il lavoratore abbia, anche senza forme rituali, manifestato la propria disponibilità ad accettarle" (Cass. 6/3/2007 n. 5112, Pres. Mattone Est. Monaci, in D&L 2007, con nota di Andrea Bordone, “Inidoneità sopravvenuta della prestazione e repechage”, 504).
Il lavoratore ha un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere, se disponibile (ma è il datore di lavoro che deve dimostrare in modo documentato e inconfutabile l'eventuale impossibilità e indisponibilità di una mansione alternativa compatibile con lo stato di salute menomata del lavoratore) una diversa mansione compatibile col suo stato di salute: "in caso di impossibilità sopravvenuta parziale allo svolgimento della prestazione, sussiste il diritto del lavoratore ad essere assegnato a mansioni diverse ed equivalenti (sempreché sussistenti in azienda) ed anche inferiori, dietro manifestazione di consenso del lavoratore alla dequalificazione finalizzata alla salvaguardia del superiore interesse all’occupazione, per le cui richieste al datore di lavoro il lavoratore deve attivarsi precisando le residue attitudini professionali tali da rendergli possibile una diversa collocazione in azienda (nella fattispecie è stato anche ritenuto che il lavoratore certificato inidoneo alla mansione di operatore unico aeroportuale – caratterizzata intrinsecamente dall’attività di carico e scarico bagagli e zavorra – non può pretendere di permanere nella stessa mansione venendo esonerato dal compito principale e gravoso del carico e scarico, eliminabile eventualmente non già con mezzi e strumenti in dotazione dell’azienda ma con l’acquisto di mezzi ad hoc offerti dalle nuove tecnologie, non essendo configurabile un obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposta dal decreto legislativo sulla sicurezza del lavoro)" (Cass. 5/8/00, n. 10339, pres. Genghini, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2083).
In particolare il tribunale di Milano precisa che "non è legittimo il licenziamento di una lavoratrice che abbia perso una parte della capacità lavorativa qualora risulti possibile al datore di lavoro modificare la propria organizzazione aziendale compatibilmente con le sopravvenute limitazioni della lavoratrice medesima; infatti, non può ritenersi onere eccessivo e sproporzionato per l’azienda, tale da escludere l’obbligo del cd. repêchage, il sopraggiunto forzato minore rendimento della lavoratrice – dipendente da oltre vent’anni – e la conseguente necessità di sopperirvi con altra forza lavoro"

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