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"La valutazione dei rischi e il DVR ai tempi del Coronavirus"

di Carmelo G. Catanoso / Valutazione dei Rischi

27/02/2020 -

Mentre mi accingo a scrivere quanto segue, nella mia posta elettronica continuano ad arrivare messaggi che mi rammentano la necessità di procedere alla valutazione del rischio ed alla redazione del DVR riguardo il Corona Virus (SARS-Cov-2), proponendo pacchetti di aggiornamento software o modelli di DVR da personalizzare con prezzi che vanno dai 50,00 ai 250,00 euro + IVA.

 

Ovviamente, davanti a tali proposte, viene cinicamente immediato pensare che << più che quanta gente ci muore per la mancanza di sicurezza, dovremmo chiederci quanta gente ci campa>> anche e soprattutto speculando, in un momento come questo.

 

Del resto, a proposito di speculazioni, basta andare su un qualunque sito di vendita on line per vedere a che prezzi astronomici sono arrivate le mascherine ed i flaconcini di amuchina (aspettiamo con fiducia che qualche Procura si muova al riguardo).

 

Nei vari gruppi tematici di discussione presenti sul web e frequentati da noi tecnici, visto il citato bombardamento a cui siamo sottoposti, l’argomento principe è quello della sussistenza o meno dell’obbligo di valutazione del rischio da Corona Virus.

 

Come al solito si sono formate due correnti di pensiero.

 

Quanto segue è l’opinione di chi scrive e come tale non deve essere presa come un dogma così come non deve essere presa come un dogma l’opinione opposta anche se proveniente da chi opera, ad esempio, in posizioni direttive di un organo di vigilanza visto che, al dogma dell’infallibilità, sembra stia rinunciando anche il Papa.

 

L’opinione di chi scrive deriva da un fatto incontrovertibile e cioè che i rischi che devono essere oggetto della valutazione dei rischi e del conseguente DVR, sono i rischi professionali e cioè i rischi per la SSL a cui è esposto un lavoratore nell’espletamento della sua attività lavorativa nella specifica mansione all’interno dell’organizzazione aziendale.

 

Per averne conferma basta, ad esempio, leggere la definizione di Prevenzione (art. 2 comma 1, lett. n) del D. Lgs. n° 81/2008) e quella di Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi (art. 2 comma 1, lett. l) del D. Lgs. n° 81/2008).

Conseguentemente, il riferimento a << tutti i rischi>> poi citati all’art. 15 ed all’art. 28 comma 1 del citato decreto non può che far riferimento ai rischi professionali endogeni all’organizzazione aziendale.

 

A questo punto ci si deve domandare se il rischio biologico da Corona Virus sia o no un rischio professionale.

La risposta non può che essere: dipende….

 

Certamente è un rischio professionale per coloro che, operando in una organizzazione aziendale, espletano una mansione che determina un incremento dell’entità del rischio rispetto al resto della popolazione o ad altri lavoratori perché, anche se non nasce all’interno dell’organizzazione aziendale, l’aumento dell’entità del rischio è legata alla mansione espletata nella specifica attività lavorativa.

 

Altrettanto certo è che non è un rischio professionale per coloro che, operando in una organizzazione aziendale, espletano una mansione che non determina un innalzamento dell’entità del rischio rispetto al resto della popolazione. In questo secondo caso, siamo di fronte a un rischio esogeno perché non nasce all’interno dell’organizzazione aziendale, non è prevenibile dal datore di lavoro e non è legato alla mansione espletata ed alla relativa attività lavorativa.


Nel primo caso, ci rientrano, ad esempio, coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie come coloro che stanno studiando il virus.

Ci rientrano anche quelle categorie di lavoratori che svolgono le attività indicate all’Allegato XLIV al D. Lgs. n° 81/2008 [1] ; qui pur non essendoci la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, esiste un rischio di esposizione ad essi.

Si è di fronte, quindi, ad attività lavorative in cui è possibile il contatto con agenti biologici; queste aziende hanno l’obbligo di procedere alla valutazione del rischio da agenti biologici e aggiornare, quando necessario, la stessa in quanto, la probabilità per il proprio personale di contrarre una qualunque infezione, è palesemente maggiore a causa della specifica attività svolta.

 

Nel secondo caso, ci rientrano tutti gli altri….ed è su questi che oggi si sta facendo una grandissima confusione ponendoli sullo stesso piano di coloro che rientrano nel primo caso.

Il fatto innegabile è che, ad oggi, ci sia un rischio di contagio.

Contagio che può avvenire sia sul posto di lavoro che in altri ambienti di vita.

 

Chi sostiene che tale rischio debba essere valutato, ad esempio, dal datore di lavoro di un’azienda metalmeccanica alla stregua di tutti gli altri rischi aggiornando il DVR, fa riferimento, oltre ai già citati artt. 15 e 28 del decreto, anche a:

  • Interpello 19841 del 25/10/2016;
  • Circolare del Ministero della Salute n° 3190 del 03/02/2020;
  • Circolare del Ministero della Salute n° 5443 del 22/02/2020.

Vediamo cosa dicono questi tre provvedimenti.

 

L’Interpello n° 19841 del 25/10/2016 riguardava la risposta al quesito relativo alla valutazione dei rischi ambientali e sicurezza del posto di lavoro del personale navigante delle compagnie aeree.

 

Si chiedeva <<… se nell’obbligo giuridico in capo al datore di lavoro della valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza con la conseguente elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), così come disciplinato dagli artt. 15, 17 e 28 del D.Lgs. n. 81/2008 sia ricompresa anche la valutazione della situazione ambientale e di sicurezza intesa anche come security, in particolare in paesi esteri ma non solo, legata a titolo esemplificativo ma non esaustivo ad eventi di natura geo politica, atti criminali di terzi, belligeranza e più in generale di tutti quei fattori potenzialmente pericolosi per l’integrità psicofisica dagli equipaggi nei luoghi (tipicamente aeroporti, alberghi, percorso da e per gli stessi e loro immediate vicinanze) dove il personale navigante si trovi ad operare/alloggiare quando comandati in servizio>>.

 

Appare chiaro che qui si stia parlando di personale che opera nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro (Compagnia Aerea) e che tali rischi si concretizzino durante l’espletamento della specifica mansione: piloti e assistenti di volo.

Qui la prestazione lavorativa è caratterizzata da modalità di svolgimento imposte dal datore di lavoro della Compagnia Aerea con la conseguenza che tutto ciò che accade nel corso della stessa deve essere considerato come verificatosi in attività di lavoro, in quanto accessorio alla stessa e ad essa funzionalmente connesso, e ciò dal momento in cui l’attività ha inizio e fino al momento della sua conclusione.

 

Quindi, il rischio di essere coinvolti in eventi come quelli citati ma anche al contagio di una qualche infezione, deriva direttamente dallo svolgimento della mansione che prevede anche i viaggi in questi Paesi a rischio. Infatti, è ben diverso sbarcare al Charles de Gaulle di Parigi rispetto all’aeroporto Hassan Djamous di N'Djamena (CIAD) e da qui recarsi in hotel o atterrare al Bangoka di Kisangani in Congo.

 

Di conseguenza, è ovvio che il datore di lavoro debba preoccuparsi di individuare i pericoli, valutare i rischi ed adottare le conseguenti misure organizzative e procedurali.

Certo questa non è una novità e non lo è sicuramente per il rischio di contagio da malaria, febbre gialla, ecc. Basti pensare a tutto il personale delle aziende che da decenni si reca per lavoro in queste aree a rischio con la preventiva profilassi antimalarica e le varie vaccinazioni da fare.

 

Comunque, la Commissione Interpelli, allo specifico quesito, aveva risposto come segue:
<<… la Commissione ritiene che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i cosiddetti «rischi generici aggravati», legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa svolta>>.

 

Il << rischio generico aggravato>> a cui rimandano coloro ritengono necessaria la valutazione del rischio contagio per tutte le aziende senza distinzione alcuna, è definito come quel rischio << la cui maggiore gravità deriva dalla stessa attività espletata che richiede al lavoratore di esporsi maggiormente a determinati fattori di rischio>>.

Appare chiaro, pertanto, che i contenuti di tale Interpello non possono essere certo utilizzati per sostenere l’obbligo di valutazione dei rischi da Corona Virus per le aziende industriali, ecc., in quanto lavorare in uno stabilimento industriale non aumenta il rischio rispetto al resto della popolazione visto che il rischio di contrarre il virus è lo stesso sia dentro che fuori l’azienda, a meno che non si pensi che le interazioni tra persone possano avvenire solo all’interno di questa e i lavoratori, appena usciti dal proprio luogo di lavoro, conducano un’esistenza monacale in un eremo modello “ ora et labora”?

 

Oppure si pensa che la maggiore gravità derivi dal dover uscire di casa per recarsi al posto di lavoro?

In questa ipotesi dovremmo pensare che il personale, quando è in casa, conviva con altri soggetti che, come lui, conducono un’esistenza monacale o siano affetti da agorafobia senza alcun contatto con altre persone esterne al nucleo familiare ristretto.

 

Passiamo adesso all’altro provvedimento i cui contenuti sono portati a sostegno della tesi dell’obbligo di valutazione del rischio da contagio per tutte le aziende indiscriminatamente.

La Circolare del Ministero della Salute n° 3190 del 03/02/2020 ha per oggetto << Indicazioni per gli operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico>> ed è diretta a ben identificati soggetti.

A pag. 3 della Circolare è testualmente riportato:

<< Pertanto, ad esclusione degli operatori sanitari, si ritiene sufficiente adottare le comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria, e in particolare:

  1. lavarsi frequentemente le mani; 
  2. porre attenzione all’igiene delle superfici;
  3. evitare i contratti stretti e protratti con persone con sintomi simil influenzali.
  4. adottare ogni ulteriore misura di prevenzione dettata dal datore di lavoro. >>

Qui vengono fornite delle indicazioni solo per il personale che è a diretto contatto con il pubblico e cioè una ben precisa categoria di lavoratori.

Questa Circolare era stata pubblicata quando in Italia non era stata accertata la presenza del virus.

 

Il 22 febbraio scorso è stata pubblicata la Circolare del Ministero della Salute n° 5443. Questa Circolare ha per oggetto << COVID-2019. Nuove indicazioni e chiarimenti>> ed è stata pubblicata dopo l’accertata presenza del virus in Italia. Essa è diretta a ben identificati soggetti e fornisce una serie di indicazioni tra cui quella riguardante le modalità di << Pulizia degli ambienti non sanitari>> raccomandando l’utilizzo di DPI: filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice monouso impermeabile a maniche lunghe (seguire le misure indicate per la rimozione in sicurezza dei DPI (svestizione) - dopo l’uso, i DPI monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto).

Anche i richiami a queste Circolari non appaiono validi per giustificare la richiesta di valutazione del rischio e redazione del DVR per le aziende industriali, ecc. a causa di una potenziale esposizione al contagio da Corona Virus.

Del resto, i fautori della necessità di valutazione del rischio biologico e aggiornamento del DVR dovrebbero ricordare che questo rischio, inteso come rischio indiretto per il personale e cioè non derivante da un uso deliberato di agenti biologici, doveva già essere affrontato nel DVR ove potenzialmente presente nell’espletamento dell’attività lavorativa: si pensi, ad esempio, al personale addetto alla manutenzione dei sistemi di depurazione delle acque reflue (vedasi Allegato XLIV).

 

Ovviamente ciò non vuol dire che le aziende non debbano preoccuparsi del problema ma tutt’altro visto, quantomeno, l’art. 18 comma 1, lett. i) del D. Lgs. n° 81/2008 riguardante gli obblighi informativi a carico del datore di lavoro.

 

Pertanto, ogni azienda, con il supporto del proprio Medico Competente (MC), dovrà emanare una serie di disposizioni volte a ridurre la possibilità di contagio per il proprio personale, seguendo le indicazioni fornite dalle Autorità Sanitarie.

 

Vediamo un esempio di quali possano essere tali disposizioni:

  • vietare al personale di recarsi all’interno delle Aree Rosse in Italia ed effettuare trasferte di lavoro in Cina, in Corea del Sud, a Macao, a Taipei e ad Hong Kong;
  • raccomandare al proprio personale di non effettuare trasferte internazionali e nazionali, con l’unica eccezione di quelle indispensabili per garantire la continuità operativa aziendale;
  • sospendere i corsi di formazione e gli eventi aziendali, nonché la partecipazione a convegni o ad altri eventi esterni;
  • effettuare le riunioni aziendali di lavoro in videoconferenza, limitando il più possibile quelle con partecipazione fisica diretta;
  • per il personale residente o domiciliato nelle Aree Rosse, l’attività lavorativa sarà svolta in modalità smart working fino a che le autorità pubbliche manterranno lo stato di isolamento;
  • attività lavorativa svolta in modalità smart working anche per il personale operante in sedi dove si è venuti a conoscenza di un contatto diretto avvenuto anche in ambito extra lavorativo tra una persona della sede e persona risultata contagiata;
  • sospendere gli incontri in presenza con i clienti o fornitori spostandoli sui sistemi di videoconferenza;
  • nel caso in cui gli incontri in presenza siano assolutamente indispensabili con i clienti o i fornitori, il personale di questi deve:
    • non essere residente o domiciliato all’interno delle Aree Rosse;
    • non essere stato in contatto diretto con una persona affetta dal Corona Virus;
    • non abbia ricevuto comunicazione da parte delle Autorità Sanitarie in merito ad un suo contatto diretto con una persona contagiata dal Corona Virus;
    • non abbia recentemente fatto viaggi da e per la Cina, Corea del Sud, Hong Kong, Taipei e Macao;
    • non abbia conviventi che abbiano recentemente fatto viaggi da e per la Cina, Corea del Sud, Hong Kong, Taipei e Macao;
  • saranno intensificate, mediante l’impiego di prodotti efficaci, le attività di sanificazione e igienizzazione dei luoghi di aggregazione e transito di personale quali la mensa, gli spogliatoi, le aree di somministrazione di bevande e snack, l’infermeria, ecc.;
  • in prossimità della mensa aziendale e dei distributori di bevande e snack, saranno installati distributori di gel igienizzanti per mani;
  • il personale deputato alla distribuzione di cibo in mensa sarà dotato di idoneo equipaggiamento protettivo, provvisto di mascherina con filtro e guanti monouso;
  • attuare le seguenti misure di igiene per evitare le infezioni delle vie respiratorie:

o      

    • lavarsi le mani;
    • coprire le vie aeree quando si tossisce e starnutisce;
    • cestinare i fazzolettini di carta, una volta utilizzati;
    • porre particolare attenzione all’igiene delle superfici;
    • evitare contatti stretti con persone con sintomi simil-influenzali.

adottare queste accortezze anche nel proprio ambito familiare.

  • nel caso in cui si fosse affetti da sindrome influenzale rimanere a casa e consultare il medico di famiglia attenendosi a quanto previsto dalle Autorità Sanitarie;
  • nel caso di sindrome influenzale con conclamate difficoltà respiratorie, non recarsi al Pronto Soccorso ma chiamare il numero emergenza 112 e seguirne le istruzioni;
  • informare tempestivamente l’azienda qualora si avesse il sospetto di essere entrati in contatto, anche indirettamente, con persone che manifestino i sintomi di infezione respiratoria (febbre, tosse, difficoltà respiratorie);
  • tenersi aggiornati consultando periodicamente i siti del Ministero della Salute e dell’Assessorato alla Sanità della propria Regione nonché del proprio comune di residenza.

 

Questo elenco di misure organizzative e procedurali, volte a prevenire il contagio e la diffusione dello stesso, sono quelle diffuse dalle Autorità Sanitarie. La loro concreta applicazione, ad esempio, in un’azienda metalmeccanica o elettronica o …, è più che sufficiente per soddisfare quanto richiesto per ridurre al minimo la possibilità di contagio.

 

Pertanto, quale è il valore aggiunto derivante dal procedere ad una specifica valutazione del rischio dell’agente biologico Corona Virus (fatta da chi e come?) ed all’integrazione dell’esistente DVR, facendo ripartire, tra l’altro, il solito loop con data certa o firma congiunta di Datore di lavoro, RSPP, MC e RLS su questo documento?

 

Quello che conta non sono forse le azioni messe in atto dalle aziende, in funzione delle proprie attività secondo quanto richiesto dalle Autorità Sanitarie, per prevenire il contagio e la sua diffusione?

 

Se queste considerazioni possono sembrare logiche, evidentemente non lo sono per coloro che sapientemente hanno interesse a mantenere alto il clamore ed il livello di attenzione suscitato dal Corona Virus, veicolando le interpretazioni più integral-talebane, in quanto ne hanno fatto uno specifico business oppure per semplice autoreferenzialità e spacciano tale scelta come sistema per preservare le aziende da eventuali azioni da parte degli enti di vigilanza.

 

Comunque, è importante sostenere con forza che, escluse le attività citate dove il rischio è di tipo professionale, non sussista l’obbligo formale di aggiornamento del DVR proprio per evitare che, una volta passato questo periodo, ci siano funzionari degli enti di vigilanza che vadano a contestare alle aziende il mancato aggiornamento del DVR in riferimento a quello che per loro (solo per loro) è il “ rischio biologico da Corona Virus”, infischiandosene delle azioni concretamente attuate dall’azienda ed indicate dalle Autorità Sanitarie che, invece, sono l’evidenza dell’attenzione del datore di lavoro verso la tutela della salute dei propri collaboratori.

 

Vale la pena di chiudere questo intervento, prendendo a prestito ed adattandolo alla situazione attuale, quello che, un grande conoscitore degli italiani (A. Manzoni), scrisse quasi duecento anni:

<<Il buon senso c’è …. ma se ne sta nascosto per paura del senso comune!>>.

 

 

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione



[1] Art. 271 comma 4: Nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’Allegato XLIV, che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2, 275, comma 3, e 279, qualora i risultati della valutazione dimostrino che l’attuazione di tali misure non è necessaria.

All. XLIV : Elenco esemplificativo di attività lavorative che possono comportare la presenza di agenti biologici

1. Attività in industrie alimentari.

 2. Attività nell’agricoltura.

 3. Attività nelle quali vi è contatto con gli animali e/o con prodotti di origine animale.

 4. Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem.

 5. Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori di diagnosi microbiologica.

 6. Attività impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti.

 7. Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.

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