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"La nuova definizione di “luogo di produzione” dei rifiuti"
fonte www.puntosicuro.it / RIFIUTI
26/01/2016 -
Nel corso
dell’estate 2015, come è noto, sono state modificate tre fondamentali definizioni
contenute nella disciplina sulla gestione
dei rifiuti contenuta nella Parte Quarta del d. lgs. 152/2006. Vi hanno
provveduto, dapprima, il D.L. 4 luglio 2015, n. 92 (recante «
Misure urgenti in materia di rifiuti e di
autorizzazione integrata ambientale, nonché per l'esercizio dell'attività
d'impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale»), e, in seconda
battuta – per quanto qui di interesse – la legge 6 agosto 2015, n. 125 [ [i]].
Attraverso questo intervento [ [ii]], il
legislatore ha modificato alcune disposizioni dell’art. 183, d. lgs. 152/2006, tra cui quella relativa alla
definizione di «deposito temporaneo»,
precisando che esso comprende anche «
il deposito preliminare alla raccolta
ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento» e che
il
luogo di produzione corrisponde all’«
intera area in cui si svolge
l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti» [lett. bb), art.
183, d. lgs. 152/2006].
Nel presente
articolo ci soffermiamo su quest’ultima nozione (che, come vedremo, non è del
tutto nuova), rispetto alla quale sono infatti necessarie alcune
puntualizzazioni.
Di seguito, si
riporta una tabella illustrativa delle modifiche apportate nel corso degli anni
(a partire dal d. lgs. 152/2006) alla prima parte della definizione di «deposito
temporaneo»:
D. lgs. 152/2006 |
D. lgs. 205/2010 |
L. 125/2015 |
«il
raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui
gli stessi sono prodotti […]»
(art. 183, comma 1, lett. m, d. lgs. 152/2006) |
«il
raggruppamento dei rifiuti effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui
gli stessi sono prodotti […]»
(art. 183, comma 1, lett.
bb,
d. lgs. 152/2006) |
«il
raggruppamento dei rifiuti
e il
deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in
un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo
in cui gli stessi sono prodotti
, da
intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato
la produzione dei rifiuti […]»
(art. 183, comma 1, lett. bb, d. lgs. 152/2006) |
Anche la modifica
della definizione di «deposito temporaneo» (al pari di quella apportata alla
nozione di « produttore
di rifiuti» [ [iii]]) è stata introdotta al fine di fronteggiare la
situazione venutasi a creare nel cantiere navale di Fincantieri di Monfalcone,
in cui alcune aree erano state sottoposte a sequestro preventivo a seguito
della sentenza della Cassazione penale, sez. III, 10 febbraio 2015, n. 5916.
Nello specifico, si trattava delle aree della banchina del cantiere navale in
cui venivano depositati i rifiuti costituiti dai residui (ad es. ritagli di
moquette, barattoli di vernice vuoti, ecc.) delle lavorazioni eseguite sulle
navi in costruzione da parte di imprese subappaltatrici; l’accusa aveva
contestato la riconducibilità delle stesse al concetto di “deposito temporaneo”
– in quanto tale escluso dalla fase di gestione ed esonerato, ove tutti gli
altri requisiti siano rispettati, da autorizzazione – in ragione del fatto che
i predetti rifiuti venivano trasferiti dalle navi in costruzione – considerate
il luogo “effettivo” di produzione di questi rifiuti – alla terraferma ed ivi
depositati. Di conseguenza, poiché, secondo la Cassazione, si fuoriusciva dal «luogo
in cui gli stessi [
rifiuti] sono
prodotti»,
si sarebbe più propriamente trattato di uno “stoccaggio”, operazione che
necessita di autorizzazione, nella fattispecie insussistente.
Non intendiamo
affrontare in questa sede la più complessa vicenda che ha portato al sequestro
in questione, ma occuparci soltanto della scelta del legislatore di introdurre
una specifica nozione normativa di “luogo di produzione” dei rifiuti e delle effettive
conseguenze alle quali essa può portare.
La scelta di intervenire su una nozione avente
portata generale, anziché introdurre norme
ad hoc per quella particolare
tipologia di attività che aveva dato luogo al “caso” citato [ [iv]], risulta obiettivamente singolare e non
particolarmente felice.
La direttiva 2008/98/CE (direttiva-quadro sui rifiuti, di cui
la Parte Quarta del d. lgs. 152/2006 costituisce attuazione), infatti, non
contiene alcuna definizione di “
luogo di
produzione” dei rifiuti. Non solo, una specifica definizione di «luogo di
produzione dei rifiuti» era già contenuta anche nella prima versione dell’art.
183 del d. lgs. 152/2006, ma ne era stata poi espunta ad opera del d. lgs.
205/2010, cioè proprio dal decreto con cui fu recepita la direttiva 2008/98/CE,
direttiva alla quale il legislatore dell’estate del 2015 ha curiosamente
dichiarato di volersi uniformare [ [v]].
Più nel dettaglio, la nuova definizione
normativa di “luogo di produzione” dei rifiuti appare particolarmente ampia e
obiettivamente troppo vaga.
Lo si comprende da un semplice raffronto con la “vecchia” (e
precedentemente abrogata) definizione contenuta, come detto, nella prima versione dell’art. 183 del d.
lgs. 152/2006:
Art. 183, comma 1, lettera
i),
D.Lgs. n. 152/2006 (
abrogato) |
L.
125/2015
|
Uno
o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro
all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di
produzione dalle quali sono originati i rifiuti |
L’intera
area in cui si svolge l’attività che ha determinato la produzione dei rifiuti |
Come si vede, il legislatore del 2015, preso
evidentemente dall’ansia di risolvere il caso concreto di cui si è detto, non
ha posto alcun “limite” a questo concetto, mentre quello del 2006 si era
opportunamente premurato di precisare che il “luogo di produzione” dei rifiuti
deve essere «all’interno
di un’area
delimitata» e deve
constare di edifici, stabilimenti o siti infrastrutturali «
collegati tra loro».
Va comunque ricordato che, trattandosi di una disposizione
derogatoria e di favore, rispetto alla generale regola secondo la quale il
deposito di rifiuti
dev’essere specificamente autorizzato, essa
non può che essere interpretata in senso restrittivo.
È, questo, un principio
consolidato anche a livello europeo. Già nel 1999, infatti, la Corte di
Giustizia CE (sentenza del 5 ottobre
1999, resa nei procedimenti riuniti C-175/98 e C-177/98) ha avuto modo
di affermare che, se è vero che le imprese che detengono rifiuti e che
procedono al loro deposito temporaneo – operazione che «precede un'operazione di gestione» – non sono soggette all'obbligo di
registrazione o d'autorizzazione, non è men vero che tutte le operazioni di deposito, indipendentemente dal fatto che siano
effettuate a titolo temporaneo o preliminare, sono soggette al rispetto dei principi della precauzione e dell’azione
preventiva; in quella stessa occasione la Corte ha inoltre ricordato
come, nelle osservazioni presentate nel corso del procedimento in questione, la
Commissione CE avesse espressamente puntualizzato che:
·
«
in quanto deroga a norme che mirano a
conseguire obiettivi di una fondamentale rilevanza, quali la protezione
dell'ambiente e della salute,
la nozione di “deposito temporaneo” deve
interpretarsi in modo restrittivo»;
·
«gli Stati membri, che sono tenuti a garantire
l'effetto utile della direttiva 75/442, devono quindi adottare
disposizioni
sufficientemente rigorose per evitare
che le imprese possano fare un uso abusivo della deroga prevista da tale
direttiva in caso di “deposito temporaneo”».
In quest’ottica, nell’interpretare e applicare caso per caso
la nuova nozione qui in esame occorrerà, anzitutto, rifarsi tuttora
all’insegnamento di quella giurisprudenza che, anche di recente, ha precisato
che «
il luogo di produzione rilevante ai
fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi dell'art. 183 del d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152 non è solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche
quello che si trova nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale
gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di
produzione» (Cassazione penale 13 ottobre 2015, n. 41056, che conferma
Cassazione penale 23 gennaio 2013, n. 35622, 31 maggio 2012, n. 21032 e 11 luglio 2007). In
altre parole, anche nei casi in cui risulti operativamente impossibile o
eccessivamente oneroso far coincidere il luogo di
effettiva produzione del rifiuto e quello in cui lo stesso viene
temporaneamente depositato prima della raccolta (raccolta che lo stesso
art. 183 de d. lgs. 152/2006 definisce come «
il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito
preliminare alla raccolta, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di
cui alla lettera «mm», ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento»),
occorre comunque che vi
sia una chiara (e documentabile) “connessione funzionale” tra questi due
luoghi.
Non solo. L’aspetto più importante di cui tener conto è che,
pur nel silenzio della norma (o, meglio, nonostante la sua eccessiva
“vaghezza”), laddove il tragitto che viene fatto compiere a un rifiuto preveda
un passaggio su una
strada esterna,
questa operazione andrà tuttora considerata, a tutti gli effetti, come
“trasporto” (e, dunque, come una operazione di gestione). Con la conseguenza
che, in tali casi, non ci si potrà giovare del regime (derogatorio e di favore)
del “deposito temporaneo”.
Lo si evince, anzitutto, dall’art. 193, comma 1, d. lgs.
152/2006 (su cui il legislatore dell’estate del 2015 non è intervenuto),
secondo il quale «
i rifiuti devono essere
accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare
almeno i seguenti dati: (…) d) data e percorso dell’
istradamento».
In secondo luogo, lo si desume anche dalla giurisprudenza
che aveva espressamente ricordato la distinzione intercorrente fra «
movimentazione all’interno di uno stesso
compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti» e «
trasferimento comportante instradamento da
tale luogo a quello giuridico di produzione», precisando che in
quest’ultima situazione «il trasporto in sé va considerato già attività di
gestione di rifiuti» (Cassazione penale, sez. III, 10 maggio 2012, n. 17460).
In terzo luogo, lo si ricava,
a contrario, dal comma 9 del medesimo art. 193, il quale chiarisce
che «
la movimentazione dei rifiuti
esclusivamente all’interno di aree private non è considerata trasporto ai fini
della parte quarta del presente decreto»; anche la giurisprudenza ha avuto
modo di ricordare che il citato comma 9 dell’art. 193 «
non sottopone al regime del d. lgs. n. 152 del 2006 esclusivamente il
trasporto di rifiuti che sono veicolati all’interno di aree private (solo per
una diversa sistemazione) e sono destinati a non uscire dalle stesse»,
tanto da avere sentito la necessità di precisare che «
l’esenzione non si estende al trasporto di rifiuti che, pur iniziando
in area privata, è finalizzato alla collocazione del materiale all’esterno»
(Cassazione penale, sez. III, 4 febbraio 2008, n. 5312); in altre parole,
secondo la Cassazione, l’esenzione che la norma in esame prevede
dall’applicazione della Parte Quarta del d. lgs. 152/2006 è completa, ma non è
invocabile quando – si legge ancora nella sentenza – la situazione concreta
rende «
plausibile la prospettazione che
la movimentazione dei rifiuti [sia] prodromica al loro trasporto fuori
dall’area privata».
Infine, anche la documentazione del Ministero dell’ambiente relativa
al Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) – pur priva di
qualsivoglia valore normativo – conferma quanto sopra. Ci si riferisce al
Manuale operativo SISTRI (nella Versione 3.1 del 7 agosto 2013), che contempla
la «
movimentazione del rifiuto senza
trasporto», rispettivamente, nei punti 4.4.4. e 7.2.3., e la descrive come
l’operazione in cui «
il destinatario e il
produttore si trovano
all’interno della
medesima area privata».
In conclusione, è importante che gli operatori tengano
presente che la nuova nozione di “luogo di produzione” dei rifiuti non potrà
essere interpretata in modo eccessivamente ampio, proprio perché questo
comporterebbe una dilatazione non consentita del correlato concetto di «deposito
temporaneo», la quale – è agevole prevederlo – potrebbe essere censurata dalla
giurisprudenza (anche e soprattutto in sede penale) come “abuso” del regime derogatorio
connesso a quest’ultimo concetto. Nello specifico, essa non legittima in ogni
caso deroghe di altre norme – quali quelle in materia di trasporto di rifiuti –
non direttamente interessate dall’intervento del legislatore dell’estate del
2015.
Mara
Chilosi e Andrea Martelli
Avvocati
[[iii]]
Sull’argomento, sia consentito rinviare a M. Chilosi e A. Martelli,
La
nuova definizione di “produttore” del rifiuto: più ombre che luci,
12 novembre 2015
[[v]]
Nel preambolo del D.L.
92/2015 si legge, infatti, quanto segue: «
Ritenuta
la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni che assicurino la
coerenza e l'uniforme applicazione delle definizioni di produttore, di raccolta
e di deposito temporaneo di rifiuti,
al
fine di uniformare la disciplina nazionale con quanto stabilito dalla direttiva
2008/98/UE, con particolare riferimento alle attività che costituiscono
l’iter tecnico-amministrativo di produzione e gestione dei rifiuti».
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