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"Il rispetto della normativa garantisce la qualità della formazione?"

fonte www.puntosicuro.it / Formazione ed informazione

22/03/2016 - Se, come denunciato dalla  Consulta Interassociativa CIIP, nel “mercato” della formazione alla sicurezza sono presenti anche prodotti/percorsi che non sono conformi agli obblighi normativi, che non tengono conto dei “bisogni formativi”, che sono affidati a  formatori non qualificati, è bene riflettere attentamente sulle strategie e le soluzioni necessarie per migliorare la situazione e la  qualità della formazione alla sicurezza in Italia.
 
Ed è per questo motivo che riprende l’ inchiesta sulla formazione che il nostro giornale sta portando avanti, ormai da alcuni mesi, elaborando articoli, raccogliendo pareri, pubblicando  documenti e realizzando  diverse interviste per mettere in luce e approfondire buone prassi, criticità e proposte.
 
Dopo aver intervistato nei giorni scorsi l’avvocato  Rolando Dubini, sulla rilevanza di una buona o cattiva formazione nelle aule di tribunale, abbiamo rivolto alcune domande ad una delle persone che in Italia conoscono meglio il tema della salute e sicurezza e sanno come è percepito tra chi contribuisce direttamente all’aggiornamento e all’evoluzione della normativa italiana. Parliamo di  Lorenzo Fantini, giuslavorista che per diversi anni è stato Dirigente divisione Salute e sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
 
A lui chiediamo innanzitutto un commento sulla formazione vista attraverso il D.Lgs. 81/2008 e gli Accordi Stato-Regioni, sulle attuali criticità e sulle necessarie norme e integrazioni per migliorare la formazione. Ma ne approfittiamo anche, basandoci sulla sua lunga esperienza lavorativa al ministero, per comprendere i ritardi e le prospettive future della revisione degli  Accordi sulla formazione degli RSPP e ASPP del 26 gennaio 2006.

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto.
 
 
Il legislatore ha tenuto sufficientemente conto, almeno con riferimento al D.Lgs. 81/2008, dell’importanza di una formazione alla sicurezza efficace e di qualità per migliorare la prevenzione nei luoghi di lavoro?
 
Lorenzo Fantini: La regolamentazione delle attività formative da parte del d.lgs. n. 81/2008 è stato uno degli obiettivi che gli estensori del provvedimento hanno avuto quale riferimento, anche con riguardo alle esperienze non positive dell'applicazione del d.lgs. n. 626/1994 in materia. In particolare, la legge tende a enfatizzare l'aspetto della necessità che la formazione (non a caso definita all'articolo 2 del d.lgs. n. 81/2008 quale "processo educativo") produca un accrescimento di competenze in capo al discente, che egli potrà utilizzare per svolgere al meglio i propri compiti "in sicurezza" in azienda.
Per ovviare, poi, all'eccesso di deregulation - ritenuta fonte di abusi - si è ritenuto nel 2008 di far riferimento agli Accordi in Conferenza Stato-Regioni per la definizione "dettagliata" delle regole della formazione dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale, in modo da identificare in modo uniforme in Italia contenuti e procedure della formazione in materia di salute e sicurezza e limitare l'elusione dell'obbligo prevenzionistico, essenziale a prevenire i c.d. "comportamenti pericolosi" (come noto assolutamente determinanti per causare - o almeno concorrere a causare - infortuni e malattie professionali).
La normativa mi pare chiara al riguardo e se essa ha un difetto va rinvenuta nella scarsa attenzione alla identificazione di elementi di valutazione della qualità dell'attività formativa di tipo moderno e che vadano oltre le formule generali e, per loro natura, opinabili e oggetto di interpretazioni non agevoli e diversificate (si pensi, per tutte, alla previsione di cui all'articolo 37, comma 1, del d.lgs. n. 81/2008 che prevede che la formazione del lavoratore debba essere "sufficiente e adeguata").
 
Gli Accordi in materia di formazione hanno risolto tutte le problematiche e hanno chiarito tutti i dubbi in materia di formazione?
 
L.F.: A mio parere le criticità più ampie in materia si rinvengono proprio negli Accordi, sia in quanto essi non brillano (lo dico anche con un certo senso di colpevolezza, in quanto negli anni in cui gli Accordi sono stati elaborati e pubblicati ero parte di una delle Amministrazioni competenti, in quanto dirigente presso il Ministero del lavoro) per brevità e chiarezza sia perché - per quanto allo scopo (sicuramente apprezzabile) di rendere meno semplice che in passato l'elusione del dettato normativo - i parametri per distinguere la buona dalla cattiva formazione sono stati individuati in modo sin troppo formale e burocratico, ad esempio tenendo conto del numero minimo di ore complessivo dell'attività formativa obbligatoria. I dubbi che rimangono sono, peraltro, tanti come ho modo di constatare giornalmente nell'ambito della mia attuale attività di consulenza professionale alle imprese e ai professionisti.
 
In definitiva il Testo Unico e l’applicazione degli Accordi Stato-Regioni non sono in grado oggi di garantire che la formazione erogata nelle aziende sia una buona formazione?
 
L.F.: L'applicazione puntuale dei dettati del "testo unico" e degli accordi in materia di formazione è sicuramente un buon inizio (peraltro obbligatorio), ma diciamo che “ è condizione necessaria ma non sufficiente” perché la formazione erogata sia efficace a fini prevenzionistici.
Ce lo ricorda, del resto, costantemente la giurisprudenza (tra le ultime sentenze cito, per tutte, la n. 18444 del 2015 della Cassazione penale, sezione IV, nella quale si evidenzia come la formazione debba essere specifica rispetto alle mansioni svolte e non solo formalmente rispettosa delle previsioni legali) che in caso di infortunio non si ferma affatto alle documentazioni che attestano il regolare svolgimento dell'attività formativa ma cerca di comprendere se quella attività formativa sia stata correttamente progettata, efficacemente erogata e verificata quanto a "impatto" sul discente.
Le aziende e gli operatori della prevenzione debbono sempre ricordare che la formazione è misura che discende direttamente dalla valutazione dei rischi e che è in base a quest'ultima che dovrebbe procedersi alla elaborazione di percorsi formativi adeguati rispetto alle esigenze di prevenzione e tutela dei soggetti da formare.
Altro elemento che emerge con forza dalla lettura delle sentenze di condanna (di solito a carico di datori di lavoro e dirigenti ma talvolta anche di RSPP) per inefficace formazione è la necessità che alla formazione si accompagni - quando ciò emerga da una corretta valutazione dei rischi - l'addestramento, altra misura fondamentale a prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e che troppo spesso viene erroneamente omessa (magari in quanto ritenuta "assorbita" dalla formazione).
 
Ci soffermiamo ora su chi dovrà scrivere o aggiornare la normativa futura. Secondo lei viene data a livello ministeriale la giusta attenzione ai problemi della formazione?
 
L.F.: Il Ministero del lavoro ha sempre attribuito, e sono certo che attribuisca tuttora, ampia importanza alla formazione. Piuttosto, il problema è più generale, legato alla fine di un periodo - che a questo punto (a costo di risultare forse noiosamente nostalgico) mi pare quasi irripetibile - in cui la salute e sicurezza sul lavoro è stata portata non dico tra le priorità del Paese ma sicuramente tra le questioni politiche e sociali meritevoli di attenzione.
Penso che il principale protagonista di quel periodo sia stato il Presidente Napolitano che quasi giornalmente accendeva i riflettori sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. Oggi, invece, siamo tornati allo stato ante 81/2008, con una rilevanza mediatica e politica della salute e sicurezza molto bassa.
 
Sempre in relazione alla normativa futura e attesa, come si spiegano i grandi ritardi dell’aggiornamento degli Accordi in materia di formazione RSPP/ASPP?
 
L.F.: Da un lato il "sistema" delle Regioni non è una entità uniforme e unitaria e, quindi, non ha la stabilità necessaria per agire in modo rapido e deciso, dall'altro lato è inevitabile che l'intero assetto delle competenze in materia di salute e sicurezza risenta dell'incertezza della devoluzione delle competenze costituzionali in materia.
Voglio dire che se la riforma della Costituzione al momento in Parlamento prevede che la materia della salute e sicurezza - ad oggi attribuita in modo "ripartito" tra Stato e Regioni - torni al solo Stato è logico che la cosa non sia incentivante per chi, in Conferenza Stato-Regioni, è chiamato a lavorare sugli Accordi...
 
Riguardo alla revisione degli Accordi RSPP/ASPP, che avrebbe dovuto operare sensibili cambiamenti anche sulla formazione più in generale dei lavoratori, sono sorte secondo lei divergenze su specifici aspetti relativi alla formazione?
 
L.F.: Ancora una volta la spiegazione più semplice è quella corretta. Sono sufficientemente certo che il testo degli Accordi sulla formazione di RSPP/ASPP sia stato da tempo totalmente condiviso dai "tecnici" di Stato e Regioni, per cui il problema è solo politico...
Certo, però, che questo ritardo pone tutti in grande difficoltà, solo in piccola parte attutita da qualche risposta ad interpello, a chiarimento di aspetti controversi in materia di formazione e salute e sicurezza sul lavoro.
 
Secondo la sua esperienza quando e “come” sarà possibile arrivare alla definitiva revisione degli accordi RSPP/ASPP?
 
L.F.: Qui l'incertezza è totale, per le ragioni già esposte. Voglio dire che non solo non si può prevedere quando l'Accordo uscirà ma neppure SE uscirà (almeno prima che cambi la Costituzione).
 
Torniamo all’erogazione della formazione in Italia. Ci sono i dati per fare un confronto sulla qualità e tipologia della formazione erogata in Italia rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea?
 
L.F.: non ne ho mai avuti al Ministero e non mi risulta che ve ne siano, al momento. Qualche passo in avanti è stato fatto a livello di normativa sulle qualifiche professionali e anche il decreto "qualificazione formatori" è un passo in avanti rispetto al passato; tuttavia, manca una volontà di procedere ad una classificazione di formatori e processi formativi in una dimensione europea, quanto mai necessaria in un contesto lavorativo sempre più transnazionale. Un esempio per tutti: i Paesi europei - salvo rare eccezioni - non riconoscono condizione di reciprocità alle attestazioni relative alla formazione in materia di salute e sicurezza conseguite in Italia...
 
Nei rami del Parlamento si è affrontato, attraverso interrogazioni parlamentari, il tema della formazione alla sicurezza e della scarsa rappresentatività di alcuni enti bilaterali e organismi paritetici? Con che risultati?
 
L.F.: devo dire che questo è uno dei principali rimpianti che ho, nel senso che mi sarebbe piaciuto aiutare aziende ed operatori ad avere indicazioni chiare sulla natura e sulle funzioni degli organismi paritetici.
In realtà, nel 2012 venne elaborato una bozza di decreto ministeriale, all'esito di una non semplice attività di confronto con le parti sociali, che prevedeva la creazione di un elenco di organismi paritetici riconosciuti dal Ministero del lavoro e, quindi, affidabili.
Del provvedimento, a mio parere importante, si sono perse le tracce, credo per mancanza di volontà di andare a toccare interessi economicamente significativi; voglio dire che la responsabilità del Ministero del lavoro (che avrebbe dovuto gestire l'elenco informatico degli organismi paritetici) - in assenza di una normativa (che pure l'articolo 39 della nostra Costituzione prevede) legale sulla rappresentatività - è stata ritenuta evidentemente dai vertici dell'Amministrazione troppo elevata essendo stata, evidentemente, minimizzata l'importanza del tema per le aziende.
Al riguardo segnalo che nel 2013 come ufficio "tecnico" del Ministero del lavoro proponemmo di inserire nel " decreto del fare" una norma che potesse chiarire il significato dell'obbligo di collaborazione con gli organismi paritetici alla attività di formazione di lavoratori e RLS ma la norma venne stralciata dal testo poi approvato perché considerata, rispetto ad altre (es.: il chiarimento, a mio parere di limitatissimo rilievo, sull'esenzione dall'obbligo di redazione del DUVRI) di scarsa importanza.
 
Veniamo infine a quanto raccontato dalla Consulta CIIP sulle “ampie zone di elusione e evasione degli obblighi normativi relativi alla formazione con il ricorso a soluzioni di mera apparenza e il rilascio di attestati formativi di comodo”... Secondo lei cosa sarebbe necessario fare al Ministero per cercare di porre un freno a questi percorsi formativi “fraudolenti”? E perché non è stato fatto fino ad oggi?
 
L.F.: Sono totalmente d'accordo con la segnalazione, che giorno per giorno verifico essere corrispondente alla realtà. Va, però, detto che le aziende più serie ed accorte non si prestano a "risparmiare" sulla formazione, magari anche solo per timore di conseguenze negative in un giudizio per infortuni sul lavoro o per malattia professionale. Insomma, vedo una grossa corresponsabilità delle aziende, alle quali andrebbe chiesta la ragione per la quale si cerca di risparmiare oltre ogni logica e ragionevolezza su una attività essenziale in termini prevenzionistici.
Il Ministero del lavoro potrebbe facilitare il quadro regolatorio (ad esempio, come detto, rispetto agli organismi paritetici) e le Regioni, tramite le ASL, potrebbero pensare a una campagna ad hoc di vigilanza, incentrata sulla verifica della qualità della formazione e non solo sulla forma della medesima. Tali attività non sono state fatte finora per le ragioni già esposte e anche perché progettare una attività ispettiva con maggior discrezionalità e, quindi, più contestazioni non è facile né immediato.
 
Quali sono gli aspetti dei percorsi formativi su cui potrebbe essere necessario intervenire a livello normativo per favorire una loro migliore qualità?
 
L.F.: Bisogna insistere sulla qualificazione dei docenti, figure fondamentali per una buona formazione, andando verso una vera e propria qualificazione di stampo europeo.
Occorre, poi, ribadire la necessità della coerenza tra valutazione di rischi e formazione ed enfatizzare il momento della verifica di apprendimento. Per me un percorso formativo è davvero efficace quando - a distanza di tempo dal corso erogato - il discente, a seguito di verifica, dimostra di avere interiorizzato quanto ha ascoltato durante il corso o l'aggiornamento.
 
Cosa ne pensa, infine, delle proposte CIIP? Saranno ascoltate?
 
L.F.: Sono il larga parte condivisibili e spero sinceramente che vengano considerate, anche se non vedo all'orizzonte "veicoli normativi" nelle quali esse possano essere inserite (sempre per la scarsa rilevanza politica del tema della salute e sicurezza in questo momento).
Peraltro, come ho spesso detto pubblicamente, ritengo che la CIIP possa avere, spero nell'immediato futuro, un ruolo essenziale per indirizzare i decisori verso una più moderna gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Il futuro della materia sta, infatti, nella crescita dell'apporto dei " tecnici" sulla regolamentazione e nella diminuzione della disciplina generale ed astratta a favore di quella pratica e specialistica; insomma, meno leggi e più buone prassi e indicazioni operative, tratte dall'esperienza e rese applicabili a situazioni analoghe.
 
 
 
Ricordiamo alcuni recenti articoli di PuntoSicuro relativi all’attuale situazione della formazione alla sicurezza in Italia:

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