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"Le mansioni vanno riconosciute"

fonte Italia Oggi, Debora Alberici / Normativa

06/01/2010 - Lavoratori più tutelati sulle mansioni svolte in azienda. Gli vanno infatti conosciute quelle superiori, di fatto svolte, anche quando l’impresa ha conferito formalmente quell’incarico a un quadro. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n.27825 del 30 dicembre 2009, harespinto il ricorso delle Poste. La vicenda riguarda un ufficio postale di Napoli. Un impiegato aveva svolto di fatto le mansioni di un quadro di secondo livello ma la qualifica non gli era stata mai riconosciuta. Così l’uomo aveva fatto causa alle poste e il tribunale di Napoli, nel 2003, gli aveva riconosciuto il diritto alla qualifica di qua- tiro di secondo livello. Ciò anche se il direttore aveva nel frattempo nominato un superiore che avrebbe dovuto svolgere quelle attività. L’ente aveva fatto ricorso in appello ma senza successo. La Corte partenopea aveva infatti confermato il verdetto reso ora definitivo dalla sezione lavoro della Suprema corte di. cassazione. Nel grava- me depositato al Palazzaccio le Poste si sono difese sostenendo che le mansioni rivendicato dall’impiegato appartenevano formalmente a un quadro di secondo livello nominato dal vertice della sede. C’era in sostanza «un responsabile del reparto», nominato formalmente. Secondo la difesa, infatti, i giudici napoletani non «avrebbero potuto inventarsi un posto di Q12 inesistente in organico, riferito a un settore in cui operavano 13 affidati a un caposquadra che svolgeva compiti digestione senza l’assunzione di responsabilità proprie del quadro di secondo livello». Una tesi, questa, che non ha convinto i giudici della sezione lavoro che, respingendo tutti i motivi presentati dalla difesa delle Poste hanno inoltre fornito una serie di considerazioni sul riconoscimento delle mansioni di fatto all’interno, delle aziende. In sentenza, infatti, sono stati interpretati degli articoli del codice civile e non le norme del contratto colléttivo delle Poste, segno evidente che, in questo caso, il principio può essere esteso a qualunque impresa, anche privata. In particolare, hanno inizialmente motivato gli Ermellini, «al fine di escludere il diritto del dipendente alla superiore qualifica per effetto dei contenuti professionali delle mansioni svolte per il periodo di tempo minimo previsto dalla normativa, non è sufficiente che il datore di lavoro, nell’esercizio del suo potere organizzativo, conferisca ad altri dipendenti la titolarità formale delle mansioni stesse, ovvero degli elementi più qualificanti delle stesse (nella specie, la responsabilità di un reparto qualificato come unitario)». Ma non basta. In queste brevi quanto interessanti motivazioni, già destinate all’ufficio del massimario civile, il Collegio di legittimità ha scritto che «appare incontestabile che, ai fini dell’art. 2103 c.c., apprestante una tutela preordinata a privilegiare l’effettività, l’affidamento formale della responsabilità non incide minimamente sulla realtà della situazione di fatto In altri. termini, secondo principi generali, soprattutto applicati nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, non rilevano le dichiarazioni esplicite di volontà del datore di lavoro se non, coerenti con i comportamenti rivolti ad attuarle, i quali, se in contrasto, concretano essi manifestazione della reale volontà negoziale». In altre parole è assolutamente «priva di rilevanza l’attribuzione esclusivamente formale della titolarità a un dipendente di mansioni affidate, invece, nella loro totalità e responsabilità ad altro dipendente per effetto di una stabile scelta organizzativa del datore di lavoro». Ora l’impiegato dell’ufficio di Napoli è a tutti gli effetti un quadro di secondo livello con retribuzione parametrata.

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