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"In cantiere, nei campi: così nel 2010 il lavoro uccide"

fonte Corriere della Sera, Cavadini Federica / Sicurezza sul lavoro

01/04/2010 - Cè Francesco, 25 anni, precipitato nel vuoto da un cantiere senza ponteggio; Walter, 26 anni, folgorato da una scarica da tremila volt sui binari della ferrovia; Gaetano, 31 anni, trafitto al petto da una lama d'acciaio; Rachid, 32 anni, stritolato fra le lame di una macchina spargisale e Arturo, 52 anni, schiacciato da una balla di fieno da otto quintali. E c'è un ragazzo senza nome, nessuno lo ha identificato. Era un clandestino romeno, l'hanno lasciato ferito su un marciapiede di Roma, è morto poco dopo in ospedale. Sono sei storie di caduti sul lavoro, sei vittime di incidenti avvenuti dall'inizio di quest'anno. Muoiono come loro tre persone al giorno, ecco perché li chiamano caduti, perché sembra una guerra e sembra senza fine. Il bilancio dell'Inail si è chiuso con un numero di casi di poco inferiore all'anno precedente: 1.120, nel 2008 erano stati 1.207. Nessuna buona notizia. È solo che c'è la crisi: meno lavoro, meno incidenti. E l'Inail non pu aggiungere all'elenco i morti clandestini. TRAFITTO AL CUORE GAETANO SARACENI MECCANICO 08/02/2010, VARESE Una barra di acciaio è uscita dalla macchina su cui stava lavorando e lo ha trafitto allo sterno, colpito al cuore come un cavaliere senza armatura. Torace sfondato, nulla da tentare. È morto in pochi istanti davanti ai suoi colleghi ammutoliti, Gaetano Saraceni, 31 anni, operaio a Solbiate Arno, provincia di Varese. I giornali locali hanno pubblicato una sua bella foto: capelli a spazzola, abbronzato, fisico bestiale e sorriso da bravo ragazzo. Lavorava in officina alla Riganti, l'azienda del sindaco di Solbiate, da otto anni. Lavorava li anche suo fratello e lavoravano lì i suoi amici. Soltanto per questa ragione, aveva confidato a suo padre, ci andava volentieri. Gli piaceva l'ambiente, il lavoro no. Era infernale , diceva. Qualche mese fa aveva avuto un incidente in officina, si era schiacciato un dito della mano, era rimasto fermo alcune settimane. «Quella volta disse che aveva avuto paura, che era un lavoro a rischio)), hanno raccontato i suoi genitori. Ma poi era rientrato, per ritrovare le stesse facce, i colleghi interisti, gli amici con cui andava in palestra. Quando non era al lavoro e non era ad allenarsi era dai suoi, a Buguggiate. E appena poteva viaggiava. Era rientrato da due settimane dalle ferie, aveva fatto una settimana in azienda, una in cassa integrazione e 18 febbraio era ritornato. L'incidente è successo intorno alle due. C'era un dottore, hanno chiamato anche il 118. Inutile. anno potuto soltanto portarlo all'obitorio. E hanno dovuto soccorrere sua madre, perché come fa un genitore a ricevere una notizia come questa? Il giorno dopo la morte dell'operaio Saraceni i cancelli della Riganti sono rimasti chiusi. C'è il momento del dolore e del silenzio, poi arriva quello della rabbia e della riflessione. Il giorno successivo prima di riavviare le macchine in sala mensa si è parlato di sicurezza con i sindacati. La Asl aveva appena presentato il bilancio degli infortuni in provincia: nel 2009 due persone morte e 390 inchieste per infortunio. SCIACCIATO DAL FIENO ARTURO GALLO ALLEVATORE 23/02/2010, GORIZIA La sera del 23 febbraio al cancello dell'azienda agricola di Arturo Gallo si sono presentati uno dopo l'altro, come in processione, amici, vicini di casa, anche semplici conoscenti. Sono arrivati in silenzio, il capo chino, poche parole perché tanto sono poche quelle che si possono trovare quando la morte colpisce così, con assurda leggerezza: una balla di fieno che rotola e schiaccia al suolo come un moscerino un uomo di 52 anni. Comunque non sono venuti per parlare, sono venuti a lavorare, a mungere vacche, raccogliere fieno, organizzare consegne. Lo hanno fatto perché Arturo Gallo era uno di loro e chi conosce il lavoro dei campi sa che non ci si ferma mai, nemmeno per un lutto. E forse perché sapevano che pi delle condoglianze lui avrebbe gradito questo gesto. Così hanno salutato la vedova, hanno abbracciato i suoi figli, e poi si sono fermati lì a lavorare, hanno fatto i turni dall'alba al tramonto, per tutto il tempo necessario alla famiglia Gallo per rimettersi in piedi e ripartire. Arturo Gallo era nato e cresciuto a Fratta, frazione di Romans d'Isonzo, paesone di tremila anime fra Udine e Gorizia. Era sposato e aveva avuto quattro figli, l'ultimo di Otto anni, il primo di diciotto. «La sua è un'azienda agricola modello», dicono alla Coldiretti. «Cinquanta ettari e settanta vacche da latte. Riforniva le latterie friulane . Era molto conosciuto e considerato, anche per come conduceva l'allevamento». In quei cinquanta ettari di terra Arturo Gallo vedeva il futuro della sua famiglia. Lunedì 22 febbraio, dopo pranzo, è salito sul trattore e si è messo a spostare balle di fieno, pesano diversi quintali, una manovra di routine per uno come lui, ma pericolosa. Nessuno ha assistito all'incidente. Errore umano, o fatalità. In agricoltura gli incidenti mortali sono aumentati l'anno scorso del 15%. STRITOLATO DALLE LAME RACID CIABOUB ARTIGIANO 27/01/2010, DESIO [MONZA-BRIANZA) Ha perso l'equilibrio, o ha avuto un malore. È scivolato all'interno della macchina spargisale e le lamine d'acciaio lo hanno stritolato, come un tritacarne. Impossibile salvarlo, è stato difficile anche recuperare i suoi resti, i vigili del fuoco ci hanno messo diverse ore soltanto per riuscire ad aprire l'involucro della macchina. Si chiamava Rachid Chiaboub, aveva 32 anni, era arrivato dal Marocco in Italia per lavorare. Si era sposato ed era diventato papà l'estate scorsa. Viveva a Bovisio Masciago, con la sua famiglia e con altri connazionali. Nel Milanese, nel settore edile un lavoratore su due è straniero, ce ne sono ventimila come Rachid nei cantieri di questa zona. Molti sono autonomi, perché il lavoro c'è ma pochi assumono. Rachid prima era dipendente e poi si era messo in proprio. Il 27 gennaio era uscito di casa per andare a lavorare in un paese vicino, a Desio. Una ditta, la Parravicini, che ha l'appalto per lo spargimento di sale antineve in molti comuni della Brianza, lo aveva chiamato per fare la manutenzione delle sue macchine. Rachid si era presentato puntuale. La macchina spargisale era ferma nel piazzale della ditta. «Deve aver sollevato la grata di protezione dei rulli ed è precipitato fra gli ingranaggi», così è riassunta la sua morte nella scheda della Cgil sugli incidenti mortali nel settore delle costruzioni. Dall'inizio dell'anno Rachid è la sesta vittima, oggi sono già 27, l'ultimo caduto è un ingegnere di 52 anni, ha fatto un volo di sette metri nel cantiere in cui lavorava, a Faenza. FULMINATO SUI BINARI WALTER POULI ELETTRICISTA 15/03/2010, VERCELLI «L'operaio svolgeva attività di manutenzione alla linea di alimentazione elettrica del binario 3. Durante lo svolgimento dei lavori la squadra ha indebitamente operato in una zona alimentata». Se sei un operaio delle ferrovie e muori sul lavoro un comunicato come questo spiegherà in poche righe perché non ci sei più. Un esperto descriverà che cosa è accaduto: «Il cavo ha un campo elettromagnetico fortissimo che ha attirato l'operaio come una calamita». I colleghi che erano con te racconteranno la sequenza che mai potranno dimenticare: il tuo corpo irrigidito sul carrello, il disperato tentativo di salvarti con un massaggio cardiaco. Altri scriveranno sul giornale dei macchinisti la rabbia e il dolore, in memoria di . E un sindacalista sottolineerà che "sono aumentati gli incidenti sulle linee ferroviarie, che la sicurezza è scarsa, che bisogna garantire una maggior tutela". Così è stato anche per Walter Pouli, folgorato da una scarica di tremila volt sulla linea ferroviaria Torino-Milano. Aveva 26 anni. Aveva una compagna. un figlio di tre anni, una casa in costruzione al suo paese, Romano Canavese, provincia di Torino. Lavorava per la Rfi da cinque anni. «Tutti i giorni si arrampicava per fare la manutenzione alla stessa linea aerea», ha spiegato il suo amico Oscar, macchinista. Walter è morto il 15 marzo, un lunedì mattina, poco dopo le dieci. Stava lavorando sui binari, vicino alla stazione Livorno Ferraris, all'altezza di Vercelli. Era sul carrello della manutenzione, con altri colleghi. La corrente avrebbe dovuto essere staccata. Evidentemente non lo era, non li, non in quel momento. Come sempre l'inchiesta è in corso e le responsabilità verranno accertate. UN VOLO DI 6 METRI NEL VUOTO FRANCESCO MAGRO OPERAIO 24/02/2010, SAN VITO LO CAPO (TRAPANI) Venticinque anni. Cancellarli è un attimo se puoi ritrovarti a lavorare in un cantiere trappola, senza regole, senza protezioni, persino senza ponteggio. Sali, c'è un muro, c'è un'apertura e poi il nulla. Un vuoto lunto ed è anche un'opportunità, perché è il paese del mare cristallino, delle vacanze, delle seconde case che spuntano come funghi. È lavoro San Vito e se sei nato da queste parti preghi di trovare un posto in uno dei tanti cantieri del paese: villette a schiera, condomini, alberghi, bar, ristoranti. Chi costruisce qui fa un affare e tu preghi che sia anche il tuo. Preghi che ci sia un lavoro in arrivo per te. Anche senza un contratto. Anche senza la certezza di una paga a fine mese. Francesco Magro aveva perso il posto da qualche settimana e aveva considerato una fortuna anche quel lavoro in nero. «Lo pagano cinquanta euro al giorno un manovale qui. Se pagano. Riceviamo decine di denunce ma siamo disarmati: i nostri ispettori vanno sul posto e trovano cantieri aperti ma abbandonati. Quando cerchiamo testimoni nessuno si presenta per paura di perdere il posto, anche se è illegale, sottopagato e pericoloso», così spiega Francesco Colomba, sindacalista della Cgil. «Il mercato qui è questo: solo lavoro in nero, di imprese regolari non ce ne sono, vince chi costa poco e non rispetta la legalità». Manca lo stipendio, manca la sicurezza, manca tutto. Per c'è la fila per prendere il posto di Francesco. Sarà già stato rimpiazzato. Ma il ponteggio nessuno si sarà sognato di metterlo. QUELLA MORTE SENZA NOME CLANDESTINO MURATORE 8/03/2010, ROMA Aveva calce sul volto e sul corpo e una ferita profonda alla testa. Qualcuno lo aveva trasportato lì. su un marciapiede di via Latina, a Roma, la mattina dell'8 marzo. Che era un operaio romeno clandestino vittima di un incidente sul lavoro lo sapevano prima ancora di arrivare i volontari dell'ambulanza. C'era stata una telefonata anonima, un tentativo di salvare quel ragazzo senza rischiare di finire nei guai. Tentativo inutile, è morto poche ore dopo in ospedale. È un copione che si ripete sempre pi spesso. I clandestini coinvolti in incidenti sul lavoro se sono fortunati vengono scaricati davanti agli ospedali o in luoghi dove possono essere soccorsi, comunque finiscono il pi lontano possibile dal cantiere irregolare, da chili fa lavorare in nero, senza casco, senza nessun dispositivo di sicurezza, senza nemmeno la promessa di soccorrerli in caso di incidente e provare a salvargli la vita. Se l'incidente è mortale il cadavere magari viene fatto sparire. Questi morti sul lavoro non compaiono in nessun bollettino. Non esistono, neanche come numeri di una strage.

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