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"L'operaio si rese conto di morire. Risarcimento extra agli eredi"

fonte Il Giorno di Raggi Carlo / Sicurezza sul lavoro

16/06/2011 - L'operaio si rese conto di morire. Risarcimento extra agli eredi. Ravenna, altri 400mila euro per l'ultima disperata telefonata di 23 secondi. Ventitre secondi in attesa della morte. Scanditi da una telefonata sostanzialmente muta. All'inizio alcuni borbottii, poi il silenzio. Il silenzio della morte in un silo pieno di polvere di argilla. Vittima dell'infortunio, avvenuto la mattina del 21 gennaio 2006 nella ex Cerdomus di Castel Bolognese (oggi I Castellani'), fu un operaio di 36 anni, Roberto Imperato. Per quei 23 secondi il giudice del lavoro di Ravenna, Roberto Riverso, ha fissato un risarcimento, quale danno tanatologico, di 400mila euro agli eredi. Complessivamente il danno, patrimoniale e non patrimoniale, liquidato ai genitori, alla vedova e ai sette fratelli, è stato di 2 milioni di euro. UN RISARCIMENTO del danno scontato, considerando la responsabilità della società emersa in modo netto nel corso della causa civile. E d'altra parte in sede penale, nell'aprile del 2009, il presidente della società aveva patteggiato la pena di 16 mesi con la condizionale, per omicidio colposo. Il danno tanatologico è una voce del danno non patrimoniale al centro di un notevole dibattito della dottrina e della giurisprudenza, riconosciuta da alcune sentenze della Cassazione ma solo quando il lasso di tempo fra l'evento lesivo e la morte è 'apprezzabile', quando cioè la persona, in sintesi, può rendersi conto di morire. Ma per il giudice Riverso, non da ora, il danno tanatologico è tale nel momento stesso in cui viene leso il diritto alla vita e di qui il riconoscimento dei 400mila euro per quei 23 secondi. Roberto Imperato, dipendente della fabbrica di ceramiche, la mattina del 21 gennaio di cinque anni fa era impegnato in lavori dentro un grosso contenitore cilindrico di argilla. Con lui avrebbe dovuto esserci un compagno di lavoro, che però per un certo lasso di tempo si assentò. E IN QUEL momento accadde la sciagura. Imperato fu travolto dall'argilla che si era staccata dalle pareti e morì soffocato. Ebbe solo il tempo di comporre il numero del centralino dell'azienda. L'imbracatura con cui Imperato avrebbe dovuto essere assicurato fu trovata alla sommità del silo, mentre la scalata interna era più corta rispetto all'altezza del cilindro. «Il lavoro avrebbe dovuto svolgersi dall'alto verso il basso con l'operaio imbracato», ha sempre sostenuto l'azienda, ma la consulenza svolta a suo tempo dall'esperto nominato dalla procura e le testimonianze raccolte nel corso dell'istruttoria civile hanno evidenziato le carenze nelle misure di sicurezza dell'azienda che tenessero conto anche di eventuali condotte imprudenti del dipendente. Il silo prima di essere dissequestrato, fu sottoposto a interventi prescritti dall'Ausl, tali cioè che in nessun modo possa essere possibile l'accesso all'interno.

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