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"Il rischio incendio degli indumenti"

fonte PuntoSicuro / Rischio incendio

22/08/2011 -
Ci siamo occupati in alcuni ambienti particolari del problema delle ustioni, non solo quello direttamente collegato al contatto diretto con parti ad alta temperatura ma anche quello che può derivare dall’incendio degli indumenti indossati.
In particolare quello che segue deriva da alcune esperienze nell’ambito di fonderie e forge, dove non si ha contatto diretto con la fiamma (salvo casi particolari trattati in modo del tutto diverso) ma si può entrare in contatto con metallo incandescente o comunque a temperatura elevata.
La questione, in generale, si presta a considerevoli confusioni: come sappiamo gli indumenti non sono DPI, per quanto svolgano spesso una funzione di sicurezza della quale però non è certificata l’entità (per esempio le maniche proteggono sicuramente dalla proiezione di trucioli: quanto? Non lo sappiamo). Tornando al tema delle ustioni, esistono indumenti che sono DPI (per esempio indumenti isolanti o ignifughi) che però hanno un fine diverso da quello di evitare l’incendio degli indumenti stessi.

Qualcuno potrebbe dire: se c’è un rischio si devono utilizzare adeguati DPI.
Partiamo “al rovescio” parlando prima dei DPI; di seguito riportiamo la descrizione di una tuta anti fiamma certificata secondo EN 531: “tuta in tessuto Nomex ininfiammabile - protezione da contatto breve con fiamme, calore convettivo e radiante - chiusura con cerniera metallica protetta da lista bloccata da velcro”.
Ce lo vedete un operaio di forgia a indossare una cosa del genere a luglio, quando in reparto ci sono almeno 40 °C (almeno di giorno)? Abbiamo avuto difficoltà a fare indossare gli elmetti, e chi scrive garantisce che danno davvero fastidio; purtroppo nel caso specifico sono una necessità.
Per giunta il rischio non è quello di una fiamma, ma di un contatto occasionale con oggetti incandescenti che possono innescare l’incendio di materiale infiammabile. Ma se anche si trattasse di una fiamma, quando si tratta di contatti occasionali e limitati, si andrebbe a ragionare comunque di una protezione limitata.
A tale proposito, a solo titolo di esempio, rimandiamo a un documento ISPESL:
 
Profili di rischio – Settore Alberghiero – Cucina
Si parla del classico caso della cucina: a nostra conoscenza esistono, almeno a livello domestico, casi di incidenti mortali anche in cucina, dovuti ad indumenti di materiale infiammabile indossati durante l’uso dei fornelli. Se leggiamo lo studio troviamo che l’unica precauzione associata all’uso dei fornelli sono i guanti di protezione per le mani.
Chi scrive non critica lo studio dell’ISPESL: afferma che, in questa ambiguità (determinata da quanto disponibile in commercio)  DPI / non DPI il cerchio non si chiude. Sia nel reparto forgia, che in saldo-carpenteria che nella cucina della mensa aziendale, che a casa nostra.
 
A questo punto dobbiamo aggiungere alcuni particolari sgradevoli: prima di tutto è noto che alcuni tessuti (lasciamo a chi è più competente una più approfondita disamina sui materiali) quando si infiammano non solo propagano la fiamma ma fondono, lasciando, dopo essere bruciati, un residuo appiccicoso ad alta temperatura. Questo ovviamente massimizza le conseguenze dannose. Poi dobbiamo ricordare che le ustioni gravi non si “fermano” quando si spenge il fuoco e si rimuove la fonte di calore. Nei casi più gravi le cellule danneggiate propagano il danno alle cellule circostanti fino a che l’organismo non regge più. Possono passare giorni o settimane. Tutti noi che leggiamo questo quotidiano ricordiamo bene il caso THYSSEN e il fatto che alcuni lavoratori che erano ancora coscienti al momento dei soccorsi, e nei giorni immediatamente successivi; eppure sono peggiorati progressivamente andando in coma prima, e poi dopo un altro lasso di tempo, spirando. La dinamica è la stessa.
 
Torniamo al caso iniziale: fonderie e forge. Come detto il problema è quello di garantire che l’abbigliamento sia idoneo; pur non essendo un DPI un abbigliamento scelto correttamente non protegge da un rischio esistente ma ne previene uno proprio di un abbigliamento scorretto.
La soluzione è banale: scegliere indumenti che non propaghino facilmente la fiamma. Il cotone brucia ma se indosso una tuta di cotone e vengo colpito da una scoria metallica a 1200 °C il risultato sarà un buco nella tuta e una piccola ustione localizzata; nessun rischio di lesioni permanenti (se proteggo occhi e viso con idonei DPI), ma solo un infortunio guaribile o, nel peggiore dei casi, una cicatrice. Abbiamo già totalmente cambiato ordine di dimensioni.
In realtà esistono anche prodotti più specifici (cotone trattato) ma nel caso specifico di cui abbiamo parlato non danno un concreto valore aggiunto. Ricordiamoci che in condizioni di alta temperature e irraggiamento gli indumenti di semplice cotone rappresentano una delle soluzioni più adatte a contenere il disagio, che è un elemento importante, insieme alla idratazione e all’eventuale reintegro di sali minerali, per evitare piccoli malori che potrebbero colpire anche persone perfettamente sane.
Vogliamo quindi concludere questa piccola descrizione esperienziale ricordando l’importanza di valutare il rischio connesso al possibile incendio degli indumenti indossati sul lavoro. Per esempio molte aziende chiedono alle ditte esterne di rendersi visibili e riconoscibili tramite giubbotti ad alta visibilità; in certi ambienti questa soluzione potrebbe introdurre un rischio; è stato valutato? Se si identifica il pericolo e si valuta il rischio effettivo, poi una soluzione si trova.
 
Però vorremmo aggiungere qualcosa: il problema che l’ISPESL identifica in relazione alla cucina di un esercizio commerciale, lo abbiamo identico anche a casa nostra. Oltre all’evidente possibilità di scottarsi sui fornelli (i guanti da cucina in vendita nei negozi non sono DPI), esiste la stessa possibilità che gli indumenti si incendino. Ma qui l’utente non ha la minima idea di cosa sia la valutazione del rischio, e nessuno lo informa sui rischi come invece accade per i lavoratori. È un vero problema sociale che dovrà essere in qualche modo affrontato, come molti anni addietro è stato affrontato il tema della sicurezza elettrica degli impianti domestici (Legge 46/90) e dei prodotti destinati ad uso domestico (lavatrici, frigoriferi ecc.).
Di questo tema per ora non si sente parlare, eppure di fonti di innesco le case sono piene: fornelli, stufe elettriche ad incandescenza, candele ornamentali, sistemi per scacciare gli insetti. La informazione è scarsa e non mi risulta che ci siano direttive di prodotto che prendono in considerazione questo aspetto. Sarei felice, su questo aspetto che conosco meno, di essere smentito. In ogni caso a casa mia ci presto parecchia attenzione, anche se vengo quasi tacciato di monomania.

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