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"Infortuni sul lavoro: il D.Lgs. 231 non viola la Costituzione"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
04/05/2012 - Con l’ordinanza
8 marzo 2012, il
Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano si è pronunciato
su
un’eccezione di illegittimità costituzionale degli articoli 5 e 25-
septies D.Lgs. n. 231 del 2001 per presunta violazione - esclusa dal Giudice, come si
dirà più diffusamente - degli artt. 24 commi 1 e 2 Cost. (che sanciscono
rispettivamente il diritto di ciascuno di poter agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi
e il diritto di difesa quale diritto inviolabile) e dell’art. 25 comma 2 Cost. (secondo cui nessuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso).
In particolare, le norme
“incriminate” su cui si è appuntata l’eccezione di illegittimità costituzionale
sono:
l’art. 5 del D.Lgs. 231/01,
che prevede che
“l'ente è responsabile
per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:
a. da persone che
rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il
controllo dello stesso;
b. da persone
sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla
lettera a).
2. L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno
agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi”
e l’art. 25-septies del D.Lgs. 231/01 (
“
Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi
con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e
della salute sul lavoro”) che, inserito all’interno dell’elenco dei
c.d. “reati presupposto”, fonda e legittima l’applicazione della responsabilità
amministrativa della persona giuridica - laddove ne ricorrano i presupposti
- nei casi in cui siano stati commessi da parte della persona fisica reati di
salute e sicurezza (quelli tassativamente previsti dalla norma; sul concetto di
tassatività dei reati presupposto si veda Cass. Pen. 22 settembre 2011 n. 34476).
Il Giudice di Milano, nel
rigettare tale eccezione di illegittimità costituzionale e quindi confermare la
piena compatibilità di tali norme con il dettato costituzionale, si sofferma
nella riflessione su alcuni punti che vale la pena sottolineare.
In ordine al tipo di
responsabilità prevista dal D.Lgs. 231/01, il GIP precisa che la natura
punitiva della stessa la “avvicina” a quella penale, ma non la “fa coincidere”
con essa. E prosegue: “
In ciò si
inserisce la constatazione, di per sé banale, a termini della quale
l'ente è un corpus collettivo […],
perché, per muoversi nel mondo, non già soltanto della realtà giuridica (cui
appartiene in quanto creazione del diritto), ma materiale, ove esercita
un'attività economicamente rilevante (impiegando forze produttive umane e
materiali per la realizzazione di un prodotto o servizio),
abbisogna delle persone fisiche; tuttavia
le modalità di organizzazione delle persone fisiche, si badi: sia sotto
il profilo della previsione dei ruoli e sia anche sotto quello
dell'attribuzione degli stessi a taluna o a talaltra persona fisica (a sua
volta individuata a seguito di un procedimento di selezione), sono
autonomamente decise ed attuate da nessun altro che dall'ente medesimo.”
E l’ordinanza prosegue con un
interessante discorso che parte dalla “radice” della questione del rapporto tra
l’ autonomia
organizzativa di cui gode l’ente e l’esigenza che esso si doti di un modello di
organizzazione, facendo una ricognizione delle previsioni già presenti nel
quadro normativo (in particolare nel codice civile) che regolano l’esercizio in
forma organizzata dell’attività di impresa:
L'ente
gode di autonomia organizzativa e ne gode per esercitare un'attività
economicamente rilevante, tipicamente l'attività d'impresa, che è libera nei
fini ma anche nelle forme, dacché
l'art.
2082, nello statuire che l'“attività economica” è “organizzata”, tuttavia non
reca la prescrizione di alcun modello, rimandando alle altre previsioni
codicistiche per l'esercizio in forma organizzata dell'attività d'impresa,
che del pari descrivono i centri d'imputazione alla stregua di “involucri”
nondimeno “aperti” alle più disparate forma di contenuto.” [Il riferimento,
come esplicitato nell’ordinanza, è ai seguenti articoli del codice civile: 1655
sull’
appalto, 2135 sull’imprenditore
agricolo, 2195 sull’estensione del regime delle imprese commerciali alle altre
imprese previste dalla norma, 2238 sulle professioni intellettuali, 2247 sulle
società].
La responsabilità dell’ente è
dunque, secondo il Tribunale, una
“responsabilità
di organizzazione”, in quanto
“il
proprium dell'ente è l'organizzazione ed anzi un'
organizzazione libera e sotto il profilo della strutturazione (con
la previsione di
un modello decisionale
centrale e verticistico, che si dipana a cascata sui livelli inferiori mediante
perimetrazione progressiva di poteri, doveri e facoltà; ovvero multicentrico e
puntiforme, con il coordinamento di plurimi centri di potere in sé eguali ma
distinti per competenze) e sotto il profilo dell'individuazione di ruoli ed
attribuzioni (con l'inserimento in un dato ruolo di un preciso soggetto).”
E il Giudice prosegue
analizzando la questione relativa al requisito della sussistenza dell’interesse
o vantaggio:
“la responsabilità dell'ente
è una
responsabilità di organizzazione
per un reato commesso “nel suo interesse o a suo vantaggio”, laddove si
sottolinea – e questo è un aspetto molto interessante – che
“
la
lettera della disposizione [art. 5 D.Lgs. 231/01, n.d.r.]
neppure richiede che l'ente ritragga alcun
interesse o alcun vantaggio dalla commissione del reato, atteso che il
reato esige la commissione in sé nell'interesse dell'ente o a suo vantaggio, ma
non anche che l'interesse o il vantaggio si realizzino in capo all'ente.”
Con particolare riferimento
ai
reati colposi di salute e sicurezza
sul lavoro, il GIP di Milano precisa che
“non occorre che l'autore delle fattispecie colpose di omicidio o
lesioni abbia voluto cagionare la morte o la lesione del lavoratore:
richiederlo sarebbe assurdo; né occorre che la morte o le lesioni costituiscano
di per sé un interesse o un vantaggio per l'azienda: richiederlo sarebbe ancor
più assurdo.”
Abbiamo già più volte
ricordato, a questo proposito, come la giurisprudenza di primo grado che in
questi anni si è affermata in materia di responsabilità amministrativa
conseguente alla commissione di reati di salute e sicurezza sul lavoro (v. Trib.
Trani sul caso Molfetta, Corte d’Assise di Torino sul caso Thyssenkrupp) sia
andata nella direzione, ormai consolidata, di ricollegare la nozione di
interesse o vantaggio alla condotta e non all’evento.
Infatti, prosegue il GIP,
“occorre,
invece, che detto autore abbia violato, consapevole di farlo, le norme di
sicurezza e, in tal guisa, cagionato la morte o le lesioni per la necessità di
contenere i costi produttivi, o risparmiare sulle misure di sicurezza, o
accelerare i tempi o i ritmi di lavoro, o aumentare la produttività, o,
puramente e semplicemente, aderire ad una certa politica aziendale, fatta di
omissioni di investimenti in punto di sicurezza nell'ambito, come accade di
frequente, di rami produttivi destinati all'abbandono.”
Pertanto, tale responsabilità
va categorizzata in maniera autonoma
rispetto a quella penale dell’autore del reato, trattandosi di una
responsabilità di organizzazione, che in particolare
“si declina”, secondo il Giudice,
“in
tre species:
a. responsabilità di
programmazione e pianificazione.
Impinge sulla
strutturazione interna, che enuclea
livelli di comando diversi a fronte di diverse responsabilità, in
corrispondenza con i singoli snodi in cui l'attività d'impresa si peculiarizza;
b. responsabilità di
gestione.
Riguarda
l'attività economica in movimento, i.e. nel suo esercizio
dinamico;
c. la responsabilità di
controllo e vigilanza.
Completa il cerchio, perché, a fronte della previsione, a priori, di regole e
discipline, è necessario che sussista un
apparato idoneo a verificare che le
cose funzionino nel modo in cui devono (rectius, dovrebbero) funzionare.”
Conclusivamente, secondo
l’ordinanza,
“alla luce di quanto
precede, nessun dubbio sussiste circa la piena compatibilità con la
Costituzione del modello di responsabilità dell'ente introdotto dal d. lgs. n.
231 del 2001.”
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