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"Il dirigente e la sicurezza del lavoro: individuazione e compiti"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
29/06/2012 -
Continuazione dell’articolo
“ Decreto
81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro”.
3. Nozione di dirigente
Premesso che "
l’individuazione
dei destinatari degli obblighi di prevenzione dagli infortuni sul lavoro
va
compiuta caso per caso, con riferimento alla organizzazione dell’impresa e alle
mansioni esercitate in concreto dai singoli" (Cassazione sez. IV,
n. 927 del 29.12.82), possiamo affermare che la nozione di dirigente, ai fini
della corretta applicazione della legislazione prevenzionistica, è definibile
grazie al Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, sulla base di quanto
desumibile dall'art. 55 del Decreto medesimo, che elenca gli obblighi
penalmente sanzionati a carico del dirigente stesso, in rapporto al ruolo
effettivamente ricoperto nell'ambito dell'organigramma aziendale, e alle
mansioni effettivamente esercitate (
principio di effettività).
La sentenza della
Cassazione penale sez. III - Sentenza 20 maggio 2003, n. 22036 - [Pres.
Vitalone - Est. Franco - P.M. (Parz.diff.) Geraci - Ric. Lazzareschi] fornisce
utili precisazioni a proposito della figura del dirigente nel contesto della
legislazione di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali. La
fattispecie riguarda la condanna di un direttore dei lavori di una cava, il
quale - condannato per il reato di cui all'art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994
[ora art. 71 c. 3del D.Lgs. n. 81/2008], per non aver adottato le misure di
sicurezza relative al taglio di una bancata di marmo - deduce a propria
discolpa che "le norme antinfortunistiche in questione si rivolgono solo
al datore di lavoro, mentre egli non aveva tale qualità, né era stato
specificamente delegato dal datore di lavoro".
La
Sez. III ribatte che "
l'art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [ora
art.55 D.Lgs. n.81/2008] espressamente prevede che le sanzioni per le
violazioni delle norme antinfortunistiche si applicano non solo al datore di
lavoro, ma anche ai dirigenti, e nella specie l'imputato è stato ritenuto
colpevole proprio nella sua qualità di direttore dei lavori, e cioè di
dirigente". (sulla responsabilità del dirigente v., Cass. 30
gennaio 2001, Colizzi e altri, in ISL, 2001, 3, 158; Cass. 24 giugno 2000, Rodano,
ibid., 2000, 10, 548; Cass. 30 maggio 2000, Borroni, ibid., 2000, 9, 491).
Questa nozione penalistica
sostanziale di dirigente ai fini della sicurezza implica anche una circostanza
della massima importanza:
il dirigente dal punto di vista del diritto penale
del lavoro, non è necessariamente colui che opera in base ad un contratto di
lavoro subordinato con la qualifica di dirigente, ma è colui che, anche di
fatto, svolge compiti prevenzionistici del tutto assimilabili a quelli
spettanti, in senso proprio, ad un soggetto che ha il contratto di dirigente.
Viceversa, colui che ha il contratto di dirigente, ma
non gestisce lavoratori, e non esercita effettivamente un potere dirigenziale,
organizzativo in senso proprio, non è, ai fini del diritto penale del lavoro,
un dirigente.
La nozione di dirigente, già
presente nell’articolo 4 del D.P.R. 27 aprile 1955 n, 547 (ma anche nei D.P.R.
n. 303/56 e 164/56), veniva continuamente ripresa e riproposta in tutto il D.
Lgs. n. 626/94, così come modificato ed integrato dal D. Lgs. n. 242, e ora dal
D.Lgs. n. 81/2008 come
soggetto obbligato, pro parte, a precisi obblighi
originari di sicurezza, a prescindere da incarichi formali (che al più
possono estendere l'ambito di responsabilità, in correlazione all'estensione dei
compiti di prevenzione e protezione pattiziamente individuati).
Come
già anticipato nella prima parte di questo articolo,
l’art. 2 comma 1 lett.
d. ) del D. Lgs. n. 81/2008 individua il dirigente come il garante
organizzativo della sicurezza del lavoro: ovvero colui che, nell'ambito
dell'obbligazione di sicurezza ripartita innanzitutto tra datori di lavoro,
dirigenti, preposti, è, anche di fatto (art. 299 D.Lgs. n. 81/2008) la "persona che, in ragione delle competenze
professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico
conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività
lavorativa e vigilando su di essa". Per incarico non si intende in alcun
modo ne uno specifico incarico in materia di sicurezza del lavoro,ne tanto meno
una delega
specifica di funzioni antinfortunistiche ne tanto meno un potere di spesa.
La definizione legale “fotografa” (Anna Guardavilla) gli organigrammi aziendali
consegnando automaticamente “iure proprio” alle figure gerarchiche aziendali
compiti prevenzionistici inerenti il normale incarico aziendale, cui potranno,
eventualmente, aggiungersi anche deleghe specifiche e attribuzione di peculiari
poteri di gestione e spesa.
Dunque
il dirigente è,
tautologicamente, colui che dirige, che organizza, che esercita una supremazia
che si estrinseca in un effettivo potere organizzativo dell'attività
lavorativa, nel potere di decidere le procedure di lavoro, e di organizzare
opportunamente i fattori della produzione, sempre nell'ambito dei compiti e
mansioni effettivamente devolutegli dall'organizzazione aziendale, e dal
datore di lavoro, in primis..
Il fondamentale principio
di supremazia
Il
principio della supremazia è un criterio comunemente utilizzato per individuare
il dirigente (ma anche il preposto) in "
chiunque, in qualsiasi modo,
abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori così da
poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire,
deve considerarsi
automaticamente tenuto
, ai sensi dell' art.
4 del DPR 547/55, DPR 303/56 e D. Lgs. 626/94 [oggi D.Lgs.n. 81/2008 artt. 2
comma 1 lett. d) e 18],
ad
attuare le prescritte misure di sicurezza
e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi
siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un
diverso e autonomo titolo" (Cass. Pen., sez. IV, 20/1/98 e
19/2/98).
La legislazione
prevenzionistica, “
pur comprendendo tra i destinatari delle norme, dettate
in materia antinfortunistica, anche
i dirigenti, questi
non si
sostituiscono di regola alle mansioni dell'imprenditore del quale condividono,
secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di
sicurezza” (Cass. Pen. Sez. IV 12/5/1988, Fadda in Cass. Pen. 1990,
pag. 391 n. 790): vale a dire che i loro compiti derivano direttamente dal
normale incarico dirigenziale conferito dal datore di lavoro.
Le
responsabilità prevenzionistiche sono dunque concorrenti, e non reciprocamente
esclusive.
Una
sentenza posteriore (Cass. Pen. Sez. IV 1/7/1992, Boano in Cass. Pen. 1994,
pag. 388 n. 285) ha evidenziato nel modo più chiaro possibile che
i
dirigenti [e i preposti], in senso lato, sono da identificarsi nei soggetti
preposti alla direzione tecnico-amministrativa dell’azienda o di un reparto di
essa con la diretta responsabilità dell’andamento dei servizi, come i dirigenti
tecnici o amministrativi, i capi ufficio o i capi reparto, e che
devono
predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell’impresa e
previste dalle norme, controllare le modalità del processo di lavorazione ed
attuare nuove misure, anche non previste dalla normativa, necessarie per
tutelare la sicurezza in relazione a particolari lavorazioni che si
svolgono in condizioni non previste o non prevedibili dal legislatore.
Dunque un caporeparto può
essere ritenuto un dirigente, ad esempio, ai fini della prevenzione, solo
qualora la sua supremazia sul lavoratore non si estrinsechi unicamente in
un'opera di sorveglianza con un limitato potere esecutivo, ma anche quando ad
essa si aggiunga un potere organizzativo, dispositivo, di decisione di
procedure di lavoro e di organizzazione dell'attività, dal punto di vista
prevenzionistico, tale da porlo in una posizione quale quella definita dalle
norme prevenzionistiche citate.
I
dirigenti devono, per quanto di competenza (e dunque anche a prescindere da
incarichi formali antinfortunistici, e dal possedere poteri di spesa) e nell'ambito
dell'organizzazione e del mansionario aziendale, avvalendosi delle conoscenze
tecniche per le quali ricoprono l’incarico, vigilare sulla regolarità
antinfortunistica e igienica delle lavorazioni, dare istruzioni affinché le
lavorazioni possano svolgersi nel migliore dei modi, dunque in modo sano,
sicuro e igienico, organizzare la produzione con un ulteriore distribuzione di
compiti fra i dipendenti in modo tale da impedire la violazione della normativa
e garantire un numero adeguato di preposti in grado di vigilare sull'effettiva
osservanza dei compiti prevenzionistici da parte di tutti coloro che sono
presenti sul luogo di lavoro, a qualunque titolo
4.
La posizione antinfortunistica del dirigente prescinde da incarichi formali e
poteri spesa
Anche
prescindendo da una formale investitura da parte del datore di lavoro nella posizione
dirigenziale con attribuzione dei compiti connessi e delle conseguenti
responsabilità, il dirigente (anche di fatto, o anche un preposto che abbia
compiti organizzativi e possa disporre l'adozione di procedure di lavoro
sicuro) sarà comunque obbligato a rispettare la normativa antinfortunistica, in
quanto espressamente menzionato tra i soggetti contitolari dell'obbligazione di
sicurezza dallalegislazione prevenzionistica.
La Cassazione [Cassazione
penale, Sez. IV- Sentenza n. 11351 del 31 marzo 2006 (u.p. 20 aprile 2005) -
Pres. D'Urso - Est. Battisti – P.M. (Conf.) Salzano - Ric. Stasi e altro ] è
esplicita: «
la stessa formulazione della norma (...)
consente di ritenere che
il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle
norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega [o
da altri tipi di esplicito incarico antinfortunistico]» e «
può far
ritenere che per questi due ultimi soggetti sia stata prevista
una
investitura originaria e non derivata dei doveri di sicurezza».
Inoltre, commenta Raffaele Guariniello (Sostituto
Procuratore presso la Procura della Repubblica presso il tribunale di Torino),
"è il caso di
aggiungere che... «il datore di lavoro (...) e, nell'ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o
sovrintendono le stesse attività, sono tenuti all'osservanza delle disposizioni
del presente decreto»": "chiara è la finalità di
questa norma: precisare una volta per tutte che
gli obblighi (...) fanno
generalmente capo ai datori di lavoro e, nell'ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, ai dirigenti e ai preposti" (
sulle
figure dei dirigenti e dei preposti si vedano Cass, 21 aprile 2006, Bruni, in ISL, 2006,6,378, Cass. 30 dicembre 2005,
Oberrauch e altro, W., 2006.5,304; Cass. 7 dicembre 2005, P.C. in e, Pedemonte,
M. 2006, 4,251).
La Cassazione ha altresì
sottolineato che “
sussiste la responsabilità
del dirigente regolarmente delegato dal datore di lavoro all’adempimento
degli obblighi in materia di sicurezza del lavoro (nella specie il direttore
tecnico) con riferimento alle violazioni puramente formali o documentali, per
evitare le quali non sono necessari né la collaborazione del datore di lavoro
né alcun impegno di spesa
; in ipotesi siffatte la delega è efficace
anche se non comporti l’autonomia finanziaria del delegato (il principio è
stato espresso con riguardo ad una fattispecie in cui al direttore tecnico
veniva imputata l’omessa esibizione, in sede di ispezione, del libretto
concernente un recipiente a pressione e l’omessa verifica periodica annuale -in
effetti gratuita- di altri quattro recipienti)” [Cass. sez. III pen. 5.7.99
(ud. 30.3.99) n. 8489, ric. Volterrani ed altri]
Per inciso, si noti anche
che "
anche in relazione allo svolgimento di attività di organizzazioni
complesse ed ampie,
il dirigente non può spogliarsi dei connessi doveri di
carattere eminentemente pubblico, e quindi inderogabili, se non a seguito del
conferimento di una delega espressa, con l’indicazione dei doveri relativi
allo svolgimento dell’attività di controllo e con il conferimento dei poteri e
dei mezzi necessari ad adempierli (omissis) ché, anzi, anche in siffatta
ipotesi di valida delega, non vengono meno tutti i doveri del dirigente, ma
mutano di contenuto, permanendo a suo carico l’obbligo di una attività di
coordinamento organizzativo, di direzione e di controllo dell’attività del
delegato" (Corte di Cassazione Penale - sezione III, n. 6032 del
22/05/1988: Pedicini ).
In tale senso, «l
’ordinamento individua un livello di responsabilità
intermedio incarnato dalla figura del dirigente, che dirige, appunto, ad un
qualche livello, l’attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione.
Tale soggetto
non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali
generali ma ha poteri posti ad un livello inferiore, solitamente rapportati
anche all’effettivo potere di spesa» (Cassazione Penale,
sez. IV, 8.11.2007, n. 47173)
I
Dirigenti hanno il compito essenziale e ineludibile di adottare e attivare
(dandovi la dovuta attuazione a seconda dei casi) le misure di prevenzione e
protezione che il Documento di
Valutazione dei Rischi avrà identificato come necessarie per contenere o
eliminare i rischi esistenti nello svolgimento delle mansioni specifiche, e
tutte le altre misure, disposizioni, regolamenti, procedure e istruzioni
aziendali di sicurezza e igiene del lavoro.
I dirigenti "
sono coloro che sono preposti alla direzione
tecnico-amministrativa dell'azienda o di un reparto di essa con la diretta
responsabilità dell'andamento dei servizi, e che partecipano solo
eccezionalmente al lavoro normale, avendo il
compito di predisporre anche tutte le misure di sicurezza,
controllare le modalità del processo di lavorazione, e vigilare, secondo le
loro attribuzioni e competenze, sulla regolarità dell'antinfortunistica delle
lavorazioni" (Cass. pen., sez. IV, 1/7/93); occorre
comunque sottolineare che (Cass. Pen. Sez. IV 8/6/1987, Dechici) "
la
ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, sempre
necessaria nell’ambito di aziende ad organizzazione complessa, non esonera di
per se stessa il dirigente dall’osservanza degli obblighi derivanti dall’art. 4
d.P.R. 547/1955, a meno che con tale ripartizione il dirigente non abbia anche
specificamente delegato l’adempimento di tali obblighi ai preposti ai singoli
reparti, investendoli di ogni suo potere al riguardo; la delega, in tale
ipotesi, dovrà comunque essere provata, non potendo essere semplicemente
presunta in relazione alle dimensioni dell’impresa ed alla ripartizione interna
dei compiti".
Inoltre, com'è loro
obbligo, contribuiscono alla valutazione dei rischi, segnalando tutte le
situazioni pericolose e di carenza prevenzionistica riscontrate direttamente o
indirettamente nei luoghi di lavoro.
Tra
i
compiti della funzione dirigenziale, particolare rilievo assumono i
seguenti:
- adozione delle misure di
sicurezza (tecniche, organizzative e procedurali per quanto di competenza)
imposte dalla legislazione speciale antinfortunistica e di igiene del lavoro ed
individuate dal datore di lavoro, e in modo particolare per coloro che siano titolari
anche di poteri decisionali e di spesa, quali dirigenti ai sensi dell'art. 2095
del c.c. o in base al principio di effettività;
- valutazione delle capacità professionali dei
lavoratori e assegnazione degli stessi a mansioni adeguate, conformemente alle
loro capacità e condizioni anche dal punto di vista della salute e igiene del
lavoro (art. 4 c. 5 lett. c D. Lgs. n. 626/94: il dirigente “tiene conto delle capacità e delle condizioni
degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”);
- istruzione, informazione,
formazione e, qualora necessario per legge o in base alla valutazione dei
rischi, addestramento dei lavoratori [art. 36 e 37 D. Lgs. n. 81/2008, e molti
altri articoli dello stesso Decreto, che le attività di formazione e
informazione devono essere non formali e burocratiche, e le informazioni e
istruzioni devono essere
effettivamente assimilate dai lavoratori che
devono dunque comportarsi sempre in modo sicuro e vigilati affinché attuino
quel che è stato loro comunicato al riguardo (chi ha obblighi di sicurezza
verso i lavoratori deve “
attivarsi e controllare fino alla pedanteria che
tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro
”
– Cass. 6 febbraio 2004 Bixio, e Cass. Sez. IV pen. n. 18638 del 22 aprile 2004
Policarpo];
- adozione di un sistema di
controllo e vigilanza, anche tramite un numero di preposti adeguato
quantitativamente e qualitativamente (dunque anche dal punto di vista della
competenza e della capacità), sull'effettivo rispetto delle misure aziendali di
sicurezza tecniche, organizzative e procedurali, da parte dei lavoratori.
Identificazione del
dirigente
Tra i criteri tradizionalmente utilizzati per identificare
la figura di dirigente possono citarsi sono i seguenti:
- il suo essere l'alter ego
dell'imprenditore e/o direzione politica;
- il possesso di una certa
autonomia (ma, si basi bene, non indipendenza, altrimenti ci si troverebbe di
fronte ad una differente figura aziendale, quella del datore di lavoro)
decisionale;
- ampio margine di
discrezionalità;
- esercizio delle sue funzioni
svincolato da istruzioni;
- possibilità di
influenzare la vita dell'azienda e/o dell'ufficio e/o del reparto o del
servizio.
5. La figura del
dirigente nella sentenza
c.d. Thyssen della Corte
d'Assise del Tribunale di Torino del 14 novembre 2011
La nota sentenza
c.d. Thyssen della Corte d'Assise del
Tribunale di Torino del 14 novembre 2011 n.
31095/07 N.R. n. 2/2009 RGA sviluppa il ragionamento in relazione ad un
imputato:
“
Il
ruolo dell'imputato MORONI ing. Daniele, come indicato nel capo di imputazione:
"dirigente con funzioni di Direttore dell'area tecnica e servizi della
THYSSEN KRUPP AST s.p.a." non è oggetto di contestazione e risulta
documentalmente provato (v. organigramma.ppt, estratto dagli archivi
informatici in sequestro).
Quale dirigente, egli è direttamente investito
degli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come da art. 1
comma 4 bis D.Lgs 626/94 "nell'ambito delle rispettive attribuzioni e
competenze".
In data
19/4/2007 l'A.D. ESPENHANH aveva confermato all'ing. MORONI la delega quale
"responsabile dell'area tecnica e servizi"; il contenuto della delega
consisteva nei "punti" 5.8, 5.9 e 5.10, già indicati (...)”. [Cassazione
penale] Sentenza n. 13953/08, che premette di riportare la "consolidata
giurisprudenza sul tema": "Per quanto concerne le caratteristiche
della delega, va rilevato che per la sua efficacia ed operatività, è necessario
che:
a) l'atto di delega abbia
forma espressa (non tacita) e contenuto chiaro, in modo che il delegato sia
messo in grado di conoscere le responsabilità che gli sono attribuite;
b) il delegato
abbia espressamente accettato gli incombenti connessi alla sua funzione,
c) il delegato sia
dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata,
in modo che sia messo in grado di esercitare effettivamente la responsabilità
assunta;
d) il delegato sia dotato
di idoneità tecnica, in modo che possa esercitare la responsabilità con la
dovuta professionalità...
La delega da ESPENHANH a
MORONI soddisfa i requisiti indicati … alle lettere a), b), d) (sulla
competenza tecnica di MORONI, v. infra); per quanto invece riguarda il punto di
cui alla lettera c): "capacità di spesa" ovvero, come ricordato nella
seconda sentenza citata: "autonomia di spesa necessaria allo svolgimento
delle funzioni delegate", la delega da ESPENHANH a MORONI risulta priva
della disponibilità economica autonoma, in capo a MORONI, indispensabile perché
sia sufficiente a "liberare" (ma giammai dell'obbligo di vigilare e
controllare l'attività del delegato) ESPENHANH dalla sua responsabilità quale
datore di lavoro: si legge infatti nella citata delega: "
Utilizzerà (il
delegato n.d.e.), in piena autonomia, il budget a Lei assegnato e qualora
questo fosse insufficiente vorrà immediatamente informarmi per gli opportuni
provvedimenti"- Ne consegue che l'imputato MORONI è, quale dirigente e
con il ruolo sopra indicato, direttamente destinatario degli obblighi di cui al
D.Lgs 626/94 [ora D.Lgs. n. 81/2008], mentre l
a delega a lui conferita da
ESPENHANH sulla materia della sicurezza sul lavoro non è efficace, cioè non
"libera" ESPENHANH : quest'ultimo continua ad essere personalmente
obbligato e non solo per il residuo obbligo di vigilare e controllare
l'esercizio della delega.
In una aurea sentenza, la
Suprema Corte ha sottolineato con particolare vigore che in tema di sicurezza antinfortunistica,
il compito
“del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è
molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di
determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza,
alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in
particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a
portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo,
pressante, per
imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino
alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di
trascurarle.
Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno
l'imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene
costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore
ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il
compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma
deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano
assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico
onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei
dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro
che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a
contatto con un ambiente delle strutture a loro non familiari e che perciò
possono riservare insidie non note” [Cassazione penale sez. IV, 3 marzo 1995,
n. 6486, in Grassi, Cass. pen. 1996,1957 (s.m.)].
6
Principio di effettività e individuazione dei
dirigenti
Il già ricordato principio
di effettività prevede che nelle imprese od enti ad organizzazione complessa e
differenziata, “
l'individuazione dei destinatari delle norme in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro deve essere effettuata non già tenendo
presenti le diverse astratte qualifiche spettanti coloro che fanno parte
dell'ente o dell'impresa (legale rappresentante, dirigente, preposto, ecc.),
bensì invece facendo riferimento alla ripartizione interna delle specifiche
competenze, così come regolate dalle norme, dai regolamenti o dagli statuti che
governano i singoli enti o le singole imprese” [Cassazione penale, sez.
III, 14 novembre 1984, Felicioli e altro, Riv. it. dir. lav. 1986, II,349
(nota)].
Secondo la Cassazione “
in
relazione alla diversità tra i compiti propri della qualifica di dirigente e
quelli dell’impiegato con funzioni direttive, sussiste incompatibilità tra la
predetta qualifica e l’esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza
gerarchica, anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità
di dirigenti (a diversi livelli e con graduazione di compiti) i quali sono tra
loro coordinati da vincoli di gerarchia, restando però salva, anche nel
dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal
potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore”
[Corte di Cassazione sez. lavoro, 4 febbraio 1998 Numero 1151].
In
tal senso il riferimento al principio dell’effettività ha portato la Cassazione
(Cass. sez. IV 5/4/1994 n. 3484, Pozzati ed altro) a considerare dirigente
anche il soggetto che, pur non ricoprendo nell’organigramma aziendale tale
posizione, aveva di fatto impartito l’ordine di effettuare un lavoro. In
particolare si è ritenuto che "
chi dà in concreto l’ordine di
effettuare un lavoro, anche se non impartisce direttive circa le modalità di
esecuzione, assume di fatto la mansione di dirigente, sicchè ha il dovere di
accertarsi che il lavoro venga svolto nel rispetto delle norme
antinfortunistiche, non potendo essere lasciato agli
operai la scelta dello strumento da utilizzare".
7. Il caso del consulente esterno
Il
ruolo rivestito dal consulente esterno è
assimilabile a quello del
dirigente di fatto quando l’autonomia gestionale di tutte le attività demandate
allo stesso contribuisce a legittimare la sua posizione di supremazia nei
confronti del personale dipendente. L’ingerenza
nell’organizzazione del lavoro della società rappresenta nel
caso specifico un’estrinsecazione del principio di sostanzialità. (
cfr.
Cassazione Penale, sez. IV, 14.3.2007 n. 21585).
8. La necessaria
qualificazione professionale
Cass. Pen. sez. IV,
6/10/1995, n. 12297:
“
la responsabilità del datore di lavoro per
violazione delle norme antinfortunistiche , viene meno qualora si faccia
coadiuvare da un dirigente all’uopo preposto, persona che deve essere
tecnicamente affidabile”.
9.
L'obbligo di vigilanza dei dirigenti
L'obbligo
dei dirigenti di vigilare, al fine di esigere, come previsto dall’art. 4
d.P.R. 547/1955 prima e ora dall'art. 18 comma 1 lettera f del D.Lgs.n.
81/2008, che i lavoratori dipendenti osservino le norme di sicurezza “
non
può essere addebitato fino al punto di imporre una presenza continua sul luogo
di lavoro
, né può essere esteso fino a dovere impedire
eventi
dipendenti da comportamenti anomali, imprevedibili e commessi in violazione
degli ordini ricevuti” (Cass. sez. IV 8/4/1993 n. 3495 P.G. in proc. Di
Pergola). L'obbligo è di carattere generale, organizzativo, con la
predisposizione di idonee istruzioni e procedure, organizzando un adeguato
sistema di sorveglianza tramite preposti idonei. Una volta che il dirigente
abbia adeguatamente adempiuto alle proprie citate obbligazioni, sorge in lui,
legittimamente, la ragionevole aspettativa che il lavoratore si comporti
conformemente agli ordini ricevuti, e in ogni caso senza mai porre in atto
comportamenti assolutamente anomali e imprevedibili, estranei alla sua mansione lavorativa.
10.
Colpa nella scelta del preposto
Quanto al tema della culpa
in eligendo, nella scelta di un preposto che sia tecnicamente idoneo e
culturalmente preparato allo svolgimento del compito di vigilare sullo
svolgimento sicuro del lavoro da parte dei dipendenti, è principio consolidato
che “
il titolare dell'impresa [o il dirigente] risponde, per "culpa
in eligendo", del comportamento del preposto, inesperto alla direzione dei
lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta
incompetenza e l'altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro”
[Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n. 7569, Leoni, in Riv. trim. dir.
pen. economia 1996, 679 (s.m.)].
Nel caso in cui un operaio
specializzato, erroneamente ritenuto preposto dal datore di lavoro, "
non
si adegui alle norme antinfortunistiche e dal mancato rispetto conseguano determinati
eventi, il datore di lavoro - oltre che il preposto e i dirigenti, se nominati
- risponde di questi eventi ove risulti che, allorché si è verificata quella
inosservanza, non si trovava, per impedirla, là dove è stata posta in essere, a
meno che non emerga che abbia conferito apposita delega a persona tecnicamente
all'altezza, persona, però, che non può essere lo stesso operaio che la norma
mira a salvaguardare" (Cassazione penale sez. IV - Sentenza 23 luglio
1997, n. 7245 - Pres. Satta Flores - Est. Battisti - P.M. conf. Calderone -
Ric. Sagretti , in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).
Contro tale precisazione
non vale l'obiezione che "
il datore di lavoro o imprenditore non può
essere dovunque", perché "
é agevole, infatti, replicare che il
datore di lavoro ha il precipuo dovere di curare, in modo preminente, quel
fattore della produzione che è rappresentato dal lavoro e, quindi, dall'uomo
che lavora, uomo la cui integrità psico-fisica è, tra i beni o valori
costituzionalmente garantiti che vengono in questione nell'esercizio
dell'attività economica, quello di innegabile, maggiore spessore"; ne
deriva, che "
il datore di lavoro o imprenditore, pertanto, deve
essere là dove i suoi dipendenti lavorano e se non può esservi per ragioni
collegate alla complessità dell'azienda o per altre plausibili ragioni, deve
farsi sostituire attribuendo, appunto, apposita delega a persona che ne sia
all'altezza" (Cassazione penale sez. IV - Sentenza 23 luglio 1997,
n. 7245 - Pres. Satta Flores - Est. Battisti - P.M. conf. Calderone - Ric.
Sagretti, in Dir. pratica lavoro, 1997, 37).
11. Le direttive del datore
di lavoro non liberano il responsabile della sicurezza
La Suprema corte ha
statuito che "
il responsabile della sicurezza
sul lavoro non può addurre a propria valida scusa
quella di aver dovuto uniformarsi alle direttive del datore di lavoro» (Cassazione
Penale, sez. IV, 6.10.2006, n. 33594).
Rolando Dubini, avvocato in Milano
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