News
"Defibrillatore: non ossigena il cuore"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
05/11/2012 -
Nell’ultimo
periodo si è molto discusso e scritto sull’importanza del DAE
(Defibrillatore automatico esterno). Reputo sia però fondamentale
sottolineare l’importanza di compressioni e ventilazioni, come peraltro
raccomandato dalle linee guida, ricordando che “un cuore non risponde a terapie
elettriche e farmacologiche se non è ben ossigenato”.
Ritengo
non sia il giusto rapporto tra compressioni: ventilazioni (30:2) a permettere
di ossigenare correttamente il cuore del
paziente ma una buona qualità della manovra di compressione. Tale qualità può
essere garantita solo da continui re
training (un corso di 4 ore ogni 2 anni non può quindi ritenersi
sufficiente).
Studi
effettuati su personale sanitario professionale che opera regolarmente in
emergenza, hanno dimostrato che la qualità della rianimazione cala
drasticamente a distanza di sei mesi dall’ultimo corso.
Pazienti
che subiscono un arresto cardiaco e vengono rianimati (tramite compressioni),
monitorando la pressione arteriosa invasiva è ben visibile al monitor la performance
delle compressioni: nella stragrande maggioranza dei casi la pressione durante
RCP non supera i 60 mmhg
Uno
studio condotto tra gennaio e giugno del 2012 su un campione di 150 persone che
hanno effettuato un corso
di rianimazione non più di tre anni prima, ha rivelato che:
-
Il
73% delle persone non ricorda esattamente il rapporto compressioni :
ventilazioni;
-
L’83%
dei soggetti se fosse solo e senza telefono rimarrebbe sul posto a rianimare la
persona fino all’esaurimento delle proprie forze, solo dopo andrebbe a cercare
aiuto. Da qui si capisce come l’importanza del primo anello della catena della
sopravvivenza non sia stato compreso.
Un altro studio
condotto direttamente dalla nostra società su un campione di 1.000 persone e
pubblicato su
Resuscitation nel 2011,
ha messo in evidenza che le paure dei soccorritori laici nel rianimare un
paziente adulto riguardano la possibilità di contrarre malattie e le eventuali
conseguenze legali. Mentre per i pazienti pediatrici i timori sono relativi
all’incapacità di effettuare con correttezza la manovra e al rischio di
arrecare danni al paziente.
Questi
due studi ci pongono importanti quesiti: siamo veramente in grado di eseguire
una manovra di rianimazione (compressioni) con qualità? Chi attesta la nostra
performance pratica? Chi verifica che l’istruttore che ci sta valutando abbia
ancora le capacità pratiche necessarie (alta performance nelle manovre di base,
in particolare le compressioni)?
Tornando
all’affermazione iniziale e cioè che un cuore non risponde a terapie elettriche
e farmacologiche se non è ben ossigenato, l’utilizzo di un DAE risulta poco
efficace. Sicuramente se ci dovessimo trovare davanti un paziente in arresto,
una FV ad alta frequenza come ritmo di presentazione e un DAE
a pochissimi metri dal paziente (la prima scarica erogata a 1 minuto
dall’arresto), avremmo il 90% di possibilità di ripresa. Ma in mancanza di
questi fattori (tempestività e ritmo di presentazione) il DAE
non sarebbe efficace nell’immediatezza.
Pertanto,
l’introduzione del DAE
costituisce un importante supporto ma occorre porsi delle domande sulla qualità
delle proprie manovre di base e sul metodo utilizzato per testare la nostra
performance.
Vanni Vincenzo,
Flight Medic
National Faculty American Heart
Association
UTC APT Group
- Pavia
Per
informazioni contatta i nostri uffici commerciali.
Apt
Engineering & Marketing: tel. 0382.94099
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 996 volte.
Pubblicità