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"Il rischio psicosociale come nuova frontiera della sicurezza"

fonte www.puntosicuro.it / Salute

06/11/2012 - Riguardo al tema della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato diversi docenti di Diritto del Lavoro hanno pubblicato in questi anni brevi documenti e saggi contenenti riflessioni e suggerimenti in materia.
 
Sul sito della Regione Abruzzo è presente un documento del professore Pietro Lambertucci, docente di Diritto del Lavoro e componente del comitato scientifico di Olympus, Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro.
Un documento che, sebbene non aggiornato ai più recenti documenti applicativi, riporta utili considerazioni sulle frontiere giuridiche del rischio psicosociale.
 
In “ I profili giuridici delle nuove ‘frontiere’ della sicurezza nei luoghi di lavoro: i rischi psicosociali” il docente ricorda che il Decreto legislativo 81/2008 “apre nuovi scenari nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro”. In particolare “la previsione espressa dell'ingresso dei rischi psicosociali nell'area di protezione assicurata dal d.lgs. n. 81 del 2008 pone l'assetto normativo del diritto del lavoro quale indispensabile anello di congiunzione tra la psicologia del lavoro e i modelli di organizzazione aziendale”.

Il documento intende “ripercorrere il tracciato di carattere giuridico, dalle prime indicazioni offerte dalla stessa giurisprudenza alle maturata consapevolezza delle parti sociali, sino al risolutivo intervento del legislatore”. Legislatore che viene ad aggiungere “un ulteriore tassello a quella tendenza all'utilizzazione, in chiave prevenzionistica, dell' art. 2087 del codice civile (impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore, ndr), che ci permette di valorizzare appieno la dimensione di tutela della persona del lavoratore, a prescindere dalle tecniche risarcitorie, ampiamente utilizzate dalla giurisprudenza, ma irrimediabilmente a carattere successivo dinanzi al verificarsi del danno cagionato dall'evento lesivo”.
 
L’autore prende il via dalle prime indicazioni fornite dalla giurisprudenza, che ha iniziato a considerare “le condizioni di lavoro particolarmente stressanti alle quale viene sottoposto il lavoratore (a seguito, pertanto, dell'eccessivo carico di lavoro, il c.d. superlavoro)”. In questo senso la Corte Suprema di Cassazione “ha precisato che, ai fini dell'individuazione della responsabilità del datore di lavoro, non si può escludere a priori che vi sua un nesso causale - del quale deve, peraltro, essere fornita la prova rigorosa - tra le condizioni lavorative (di stress) alle quali risultava impiegato il lavoratore e l'infortunio occorso al medesimo (nel caso di specie un incidenze stradale)” [1].
Rimandiamo i nostri lettori alla lettura integrale del documento seguendo il percorso che dalle prime indicazioni giurisprudenziali arriva all'Accordo quadro europeo dell'8 ottobre 2004 prima e all’articolo 28 del D. Lgs. 81/2008 poi.
Infatti “il veicolo per la precettività dell'Accordo quadro è ora rappresentato dall'intervento legislativo e, in particolare, dall'art. 28” che si configura “come una disposizione applicativa del principio generale contenuto nell'art. 2087 cod. civ.”.
 
Per individuare “a quale livello debba attestarsi l'obbligo datoriale di adottare le misure prevenzionistiche idonee a tutela l' integrità psicofisica del lavoratore” occorre “aver riguardo non a un criterio soggettivamente (e, pertanto, discrezionalmente) individuato dall'interprete, bensì agli standard di sicurezza diffusi e condivisi nel settore produttivo nel quale operi l'impresa”.
 
L’autore affronta diversi problemi sollevati dall’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008.
Ad esempio con riferimento allo stesso campo di applicazione dell'art. 28, che, ad una prima interpretazione letterale, “sembrerebbe circoscrivere il proprio ambito di intervento solo ai rischi ‘particolari’”. Insomma il legislatore del 2008 avrebbe segnato gli "argini" dell'oggetto della valutazione dei rischi, selezionando, pertanto, le stesse tipologie di rischi psicosociali e non prendendo in considerazione “il più complesso fenomeno del mobbing, per i contorni sfuggenti della fattispecie, che, come è noto, ha trovato risposte sul piano esclusivamente giurisprudenziale”.
Tale interpretazione che tuttavia presta il fianco a numerosi rilievi.
Ad esempio sembrerebbe contraddittorio che il legislatore, “nel momento in cui estende l'oggetto della valutazione dei rischi a tutti i rischi per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” poi ne venga a circoscriverne il contenuto, “con la conseguenza, peraltro, di esporsi ad un'ennesima censura della stessa giurisprudenza comunitaria che, peraltro, è già intervenuta nei confronti della nostra legislazione interna”. E d'altronde “il carattere necessariamente esemplificativo e non tassativo della disposizione in esame emerge dallo stessa interpretazione letterale, volutamente aperta, che viene a puntualizzare, in funzione ricognitiva, solo alcuni rischi particolari, senza, con questo, escludere la considerazione di altri rischi, che possono emergere dall'ambiente di lavoro”. E tra l’altro “le stesse indicazioni emergenti dalla giurisprudenza depongono nel senso qui sostenuto, che intende ampliare l'oggetto della valutazione dei rischi anche al controverso fenomeno del mobbing, laddove la collocazione del medesimo nell'ambito della responsabilità (contrattuale) del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., impone a quest'ultimo l'adozione delle necessarie misure preventive  gli strumenti di prevenzione dei rischi psicosociali”.
 
L’autore affronta alcune problematiche relative alle misure di prevenzione del rischio psicosociale, che, “sul piano procedurale possono sfociare in iniziative ‘unilaterali’ del datore di lavoro, attraverso la predisposizione di forme di comunicazione e di formazione (dei lavoratori) o "gestionali" (di modifica dell'organizzazione del lavoro)” ovvero “in discipline "condivise" con le parti sociali, attraverso la stipula di accordi collettivi con le rappresentanze sindacali”. In particolare, secondo l’autore, “appare particolarmente feconda la seconda soluzione perché riesce ad instaurare un sistema di partecipazione collettiva alla sicurezza, auspicata anche dall'Accordo quadro”. 
 
Dopo aver affrontato anche il rapporto tra "nuovi rischi" da lavoro e malattie professionali da c.d. "costrittività organizzativa", l’autore arriva ai rilievi conclusivi.
 
Se la prevenzione dei rischi psicosociali è la "nuova frontiera" della tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro, si sottolinea che l'art. 28 del D.Lgs. 81/2008 “valorizza la centralità dell'art. 2087 del codice civile e consente di riunificare, sul piano sistematico, i beni dell'integrità psico-fisica e della personalità morale del lavoratore, anche sotto il profilo dei ‘limiti’ della responsabilità del datore di lavoro, laddove l'identico criterio di esonero da quest'ultima riposa sulla predisposizione degli standard di sicurezza riconosciuti in quel determinato contesto organizzativo (per i rischi relativi all'integrità fisica del lavoratore) e degli standard sociali di prevenzione (per i rischi psicosociali) acquisiti nell'ambiente lavorativo, secondo parametri di ragionevolezza”.
 
In ogni caso il percorso tracciato dall'Accordo quadro europeo del 2004 costituisce un importante presupposto “per predisporre gli strumenti di valutazione dei rischi e le necessarie misure di prevenzione”. Ad esempio dando corso “a quella vasta gamma di misure previste nella contrattazione collettiva volte a fronteggiare il ‘disagio lavorativo’ e, allo stesso modo, il fenomeno del mobbing”.
 
Al di là del percorso valutativo e di prevenzione suggerito – in linea con il decreto n. 13559 del 10 dicembre 2009 della Regione Lombardia – un ruolo non marginale nella prevenzione dei rischi “potrà essere svolta dalle singole Regioni, con riguardo alla costituzione di Osservatori sui rischi psicosociali (stress e mobbing) volti ad attuare misure di contrasto del c.d. ‘disagio lavorativo’ attraverso un' ‘azione congiunta’ di più attori (la Regione, le unità sanitarie locali, i datori di lavoro pubblici e privati, le organizzazioni sindacali) e a diversi livelli (informazione e ricerca, formazione professionale, attività di consulenza ed proposta di azioni di contrasto)”.
Solo in questo modo è realizzabile un sistema "trasversale" che, “facendo perno sulle competente regionali, possa avvalersi di un rapporto sinergico tra i diversi attori presenti nelle realtà territoriali (imprese, organizzazioni sindacali, esperti del settore ecc.) per realizzare il c.d. benessere organizzativo nei luoghi di lavoro”.
 
 
I profili giuridici delle nuove ‘frontiere’ della sicurezza nei luoghi di lavoro: i rischi psicosociali”, documento a cura del Prof. Pietro Lambertucci, docente di Diritto del Lavoro, pubblicato sul sito della Regione Abruzzo (formato PDF, 132 kB).
 

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