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"Sulla responsabilità prevenzionale e per reati colposi di evento del RSPP"

fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale

09/09/2013 -
Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 11492 del 11 marzo 2013 (u. p. 24 gennaio 2013) -  Pres. Marzano – Est. Piccialli – P.M. Scardaccione - Ric. G. R. e C. G.
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
La Corte di Cassazione in questa sentenza fa il punto su di un argomento già oggetto di precedenti espressioni della stessa Corte è cioè sulla individuazione delle  responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una azienda nel caso che nella stessa si verifichino degli infortuni sul lavoro o si riscontrino delle malattie professionali occorse a lavoratori dell’azienda stessa. Occorre distinguere nettamente, ribadisce la suprema Corte, il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento che si possono riscontrare nel caso di infortuni sul lavoro o tecnopatie accadute ai lavoratori potendo essere chiamato in tal caso il RSPP a rispondere in concorso con il datore di lavoro se non addirittura in via esclusiva per colpa professionale allorquando si accerti che ha agito con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline oppure abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale.

  Il caso, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
Il dirigente preposto al servizio manutenzione ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una azienda sanitaria sono stati accusati e condannati dal Tribunale per il reato di lesioni colpose a seguito di un infortunio occorso ad un paziente ricoverato presso un ospedale dell’azienda sanitaria medesima nonché per contravvenzioni ad alcune norme antinfortunistiche. Era accaduto che un paziente, sottoposto ad una terapia mediante apparecchio elettromedicale, a causa di una sovratensione verificatasi nell'impianto elettrico, aveva ricevuto una forte scossa elettrica a seguito della quale era caduto dal letto, perdendo i sensi e riportando anche una lesione lacero-contusa al capo, con ricovero in ospedale. Agli stessi era stato addebitato la colpa di avere omesso di installare o di fare installare e di mantenere in modo adeguato l'impianto elettrico del locale adibito a terapia, di avere omesso di garantire l'adeguato isolamento tra i conduttori dell'impianto elettrico, di avere omesso di predisporre la messa a terra delle parti metalliche, di avere omesso gli opportuni accorgimenti per proteggere l'impianto da sovraccarichi e di avere omesso di predisporre in modo visibile la tabella recante le istruzioni da seguire per i soccorsi da prestare a persone eventualmente folgorate, addebiti di colpa ritenuti tutti causalmente collegati con l'incidente accaduto.
 
La Corte di Appello ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al delitto di lesioni colpose ed ha prosciolto, con formula piena, nonostante la prescrizione, il RSPP dalle contravvenzioni alle norme antinfortunistiche allo stesso contestate motivando la decisione con il rilievo che l’imputato, quale RSPP non era titolare diretto della posizione di garanzia e non poteva rispondere dell'addebito relativo all'omissione di informazioni agli addetti ai servizi di prevenzione e protezione, trattandosi di un obbligo questo gravante sul datore di lavoro o su soggetti dal medesimo preposti.
 
Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione. Il RSPP a sua difesa ha sostenuto di avere segnalato e comunicato al datore di lavoro la situazione pericolosa dell'impianto elettrico, tanto che lo stesso si era attivato ed aveva dato avvio a una serie di iniziative (tra cui l'adozione del sistema differenziale perfettamente rispondente alle norme tecniche e di sicurezza), iniziative tutte rivolte a gestire il fattore di rischio, ivi compreso quello connesso alle variazioni di tensione. I fattori di rischio indicati nei capi di imputazione, ha sostenuto altresì il RSPP, non avevano avuto alcuna incidenza causale con l'incidente ed i possibili sovraccarichi in conseguenza di eventuali dispersioni non avrebbero potuto, in ogni caso, avere sensibili conseguenze in ragione della particolare tipologia dell'apparecchio al quale era legato il paziente, poiché, al suo interno lo stesso aveva delle limitazioni che bloccavano l'erogazione quando il valore di tensione tendeva a salire. Comunque, ha sostenuto ancora il RSPP, anche in ipotesi di dispersione, sarebbe intervenuto il differenziale bloccando l'erogazione della corrente. Come secondo motivo il RSPP ha precisato che l'incidente accaduto non era riconducibile alla normativa antinfortunistica in quanto la parte offesa  era un paziente e non era compresa tra i soggetti di tutela equiparati al lavoratore.
 
Il dirigente dell’azienda e direttore del servizio manutenzioni, da parte sua, ha lamentato che gli obblighi di sicurezza di cui ai capi di imputazione erano estranei al ruolo dallo stesso svolto in azienda ed ascrivibili invece al solo direttore del servizio tecnico della stessa e messo in evidenza altresì che comunque le violazioni alle norme antinfortunistiche contestate non erano incidenti, in termini di nesso causale, con l'evento, come affermato, del resto dagli stessi giudici di appello. L’incidente inoltre, secondo lo stesso, non era da ricondurre alle condizioni della cabina e dell'impianto, bensì esclusivamente al funzionamento della macchina cui era collegato il paziente, nonché al comportamento del personale sanitario addetto alla macchina. Ha sottolineato ancora in particolare che, secondo quanto emerso dalla relazione peritale contenuta nella sentenza impugnata, la natura delle correnti in gioco non era stata tale da coinvolgere l'efficienza dell'impianto, tanto che non era intervenuto il differenziale. Lo stesso ha infine avanzato il ragionevole dubbio che l'incidente fosse riconducibile al cattivo funzionamento delle macchine fisioterapiche.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi presentati dagli imputati infondati ed ha confermato le condanne dei ricorrenti.
 
Con riferimento alla posizione del RSPP la suprema Corte ha affermato, in conformità agli esiti delle relazioni tecniche in atti, che la responsabilità dell'imputato fosse da ricollegare in una negligente sottovalutazione dei rischi, dovuti alla presenza nei locali di un impianto elettrico non a norma, che provocava situazioni repentine di sovratensione, con conseguente malfunzionamento degli apparecchi medicali ed un aumento rapido della corrente erogata dagli elettrodi, idonee a generare nel paziente una sensazione dolorosa e delle contrazioni più forti tali da giustificare la caduta del paziente e le relative lesioni, incidente da ricollegare quindi all’imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare la situazione di pericolo. Secondo i giudici della Sez. IV il RSPP era tenuto non solo a segnalare l'effettività del rischio ma anche a proporre concreti ed idonei sistemi di prevenzione e protezione per evitare gli eventi, come quello verificatosi mettendo in evidenza che sarebbe stato sufficiente, per evitare l’accaduto, così come evidenziato nella relazione di uno dei consulenti tecnici riportata nella sentenza impugnata, attuare il collegamento delle apparecchiature potenzialmente pericolose a dei gruppi di continuità e stabilizzatori di tensione, in modo tale da non consentire variazioni rapide delle tensioni in linea.
 
La sentenza, ha precisato la Sez. IV, non ha posto in discussione il principio che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che lo stesso opera, piuttosto, quale "consulente" del datore di lavoro il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio. ” In effetti”, ha proseguito la Sez. IV, “ la ‘designazione’ del RSPP, che il datore di lavoro era tenuto a fare a norma del D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 individuandolo ai sensi dell'art. 8 bis del citato decreto tra persone i cui requisiti siano ‘adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative’, v. ora D. Lgs. n. 81 del 2008, artt. 31 e 32 non equivale a ‘delega di funzioni’ utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di ‘trasferire’ ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore dì lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa”.
 
“Dalla ricostruzione dei compiti del RSPP”, ha ribadito ancora la Corte suprema, “ discende, coerentemente, che il medesimo è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, spettandogli solo di prestare ‘ausilio’ al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di Informazione e formazione dei lavoratori (cfr. art. 33 del Decreto cit.)” per cui “ il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta materia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, appunto in collaborazione con il RSPP, fa pur sempre capo a lui, tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omessa la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento.
 
Quanto detto”, ha però precisato la Sez. IV, “ non esclude che, indiscussa la responsabilità del datore di lavoro che rimane persistentemente titolare della ‘posizione di garanzia’, possa profilarsi lo spazio per una (concorrente) responsabilità del RSPP . Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione”. Il RSPP, quindi, secondo la suprema Corte, non può essere chiamato a rispondere per il solo fatto di non avere svolto adeguatamente le proprie funzioni di verifica delle condizioni di sicurezza, proprio perché non è prevista una espressa sanzione nel sistema normativo nei suoi confronti ma “ il fatto, però, che la normativa di settore escluda la sanzionabilità penale o amministrativa di eventuali comportamenti inosservanti dei componenti del servizio di prevenzione e protezione, non significa che questi componenti possano e debbano ritenersi in ogni caso totalmente esonerati da qualsiasi responsabilità penale e civile derivante da attività svolte nell'ambito dell'incarico ricevuto”.
 
A tal punto la Corte di Cassazione ha messo bene in evidenza che “ infatti, occorre distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie” per cui “ ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo”. “ L'omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “ impedendo l'attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale, ben potrebbe rectius, dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell'art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell'evento dannoso derivatone”
 
La Corte di Cassazione ha quindi condiviso le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito essendo stato accertato che l'incidente si era verificato per evidenti carenze dell'apparato elettrico, il cui rischio non era stato idoneamente messo  in luce dal RSPP e non per un difetto dell’apparecchiatura elettromedicale. Per quanto riguarda poi la presunta inapplicabilità della normativa antinfortunistica alla parte offesa in quanto non compresa tra i soggetti dalla stessa tutelati, la suprema Corte ha inoltre ribadito che “ le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa. Ne consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e art. 590 c.p., comma 3, nonché la perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590 c.p., u.c., è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre se il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle predette norme secondo i principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., e cioè sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, tutte condizioni sussistenti nel caso in esame”.
 
In riscontro al ricorso presentato dal dirigente la Sez. IV ha inteso infine precisare che lo stesso rivestiva pacificamente questa carica in azienda quale preposto al settore manutenzioni e che quindi, per chiaro dettato legislativo e per i principi consolidati della Corte di Cassazione, era destinatario specifico delle norme antinfortunistiche ai quali le disposizioni di legge, il D.P.R. n. 547/1955 allora ed ora il D. Lgs. n. 81/2008, assegnano degli obblighi “diretti” (iure proprio) con la previsione di precise sanzioni per gli inadempienti, prescindendo da una eventuale " delega di funzioni" conferita dal datore di lavoro.
 
 

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