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" Interpelli sulla sicurezza sul lavoro: valore giuridico e vincolatività"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

07/05/2015 -
L’articolo 12 comma 3 del decreto 81/08  (“Interpello”), collocato all’interno del Capo II del Titolo I (“Sistema istituzionale”), prevede che “le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza.”
 
Questa norma fa riferimento ai quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro” che possono essere inoltrati alla Commissione per gli interpelli [1] da parte dei seguenti soggetti: “gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché, di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i consigli nazionali degli ordini o collegi professionali” (art.12 c.1 D.Lgs.81/08).
 
Presupposto fondamentale affinché i quesiti vengano ritenuti ammissibili dalla Commissione è che essi siano di carattere generale e non attengano a problematiche aziendali specifiche.

Dunque la Commissione per gli interpelli svolge, nell’ambito della cornice delineata sopra, un’attività di analisi e valutazione di problematiche inerenti l’applicazione della normativa di salute e sicurezza che sfocia nell’emanazione di risposte che rappresentano interpretazioni autorevoli in quanto emanate da un organismo istituito direttamente dalla legge e la cui composizione [2] prevede una rappresentanza dei Ministeri del Lavoro e della Salute nonché delle Regioni.
Si tratta di interpretazioni - quelle fornite dalla Commissione degli interpelli - che vanno così ad aggiungersi a quelle provenienti dai vari Enti attraverso le circolari e tutte le altre prassi amministrative (al valore delle circolari e alla loro vincolatività sarà peraltro dedicato un successivo approfondimento su Puntosicuro).
 
Prima di prendere in esame il valore giuridico degli interpelli occorre ancora premettere, su un piano più generale e di sistema, che la finalità dell’istituzione della Commissione per gli interpelli è chiarissima ed è quella di fornire indicazioni che vadano nella direzione di uniformare le interpretazioni sugli aspetti più controversi legati alla normativa prevenzionistica e di contribuire così all’armonizzazione del sistema.
Tale funzione è certamente assai utile in un Paese caratterizzato da disomogeneità interpretativa diffusa che, certo, non riguarda solo la materia della prevenzione sui luoghi di lavoro ma che in tale ambito - in cui le norme sono per lo più penali e quindi va ancor di più scongiurato il rischio di una “nebulosità” nell’inquadramento degli obblighi, del loro campo di applicazione e delle modalità in cui vanno attuati - rende spesso particolarmente critica l’interpretazione e quindi l’applicazione delle leggi.
 
La domanda che però ci si intende porre a questo punto, sotto un profilo strettamente tecnico-giuridico, è la seguente: partendo dal presupposto che il legislatore ha statuito che “le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”, in che termini questi “criteri interpretativi e direttivi” sono vincolanti per coloro che svolgono l’ attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza con funzioni di polizia giudiziaria?
 
La risposta la troviamo nel codice di procedura penale.
 
Non va infatti dimenticato che l’attività di polizia giudiziaria compiuta dai servizi di prevenzione degli organi di vigilanza è potenzialmente destinata a confluire in un processo penale ed ha come referente la magistratura, sotto la cui direzione gli u.p.g. svolgono i loro compiti.
Durante le indagini preliminari il pubblico ministero e la polizia giudiziaria operano infatti - ciascuno all’interno del proprio ruolo istituzionale - con la finalità di svolgere le indagini necessarie a promuovere l’azione penale.
 
In questo senso, il codice di procedura penale (all’art. 56 c.p.p., “Servizi e sezioni di polizia giudiziaria”) prevede che “le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria:
a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge;
b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria;
c) dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato.”
 
Quanto alle “funzioni della polizia giudiziaria” cui fa riferimento la norma precedente, il codice stabilisce che “la polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale” e che essa “svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria” (art. 55 c.p.p.).
 
Le “finalità delle indagini preliminari” vengono chiarite dall’art. 326 c.p.p. secondo cui “il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale” ; in tale fase “il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa […]” (art. 327 c.p.p., “Direzione delle indagini preliminari”). [3]
 
Dunque l’attività degli operatori dei servizi di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro con funzione di polizia giudiziaria è un’attività normata dal codice di procedura penale che ne regola i meccanismi e che prevede che il pubblico ministero diriga le indagini e disponga della polizia giudiziaria.
 
Certamente le risposte agli interpelli, che costituiscono criteri interpretativi e direttivi per coloro che svolgono attività di vigilanza, forniranno a questi ultimi dei preziosi contributi di cui essi si avvarranno come qualificato sostegno nell’attività che sono richiesti di svolgere e che per questi rappresenteranno un indiscusso ausilio e orientamento, ma in termini strettamente giuridici non li potranno “vincolare” in maniera assoluta qualora gli operatori della vigilanza, per fondati e validi motivi, ritengano di distanziarsi da tali interpretazioni, anche solo parzialmente.
 
Infatti non va dimenticato che l’attività svolta dagli operatori della vigilanza in applicazione del regime previsto dal D.Lgs. 758/94 è attività di polizia giudiziaria che va ricondotta nell’alveo del procedimento penale.
 
La Cassazione Penale, con sentenza 24 ottobre 2007-29 novembre 2007 n. 44369 [4], ad esempio, ha rilevato che il D.Lgs.758/94 all’articolo 20 “prescrive che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, non deve limitarsi a riferire al pubblico ministero la notizia di reato ai sensi dell’art.347 c.p.p., ma deve anche impartire al contravventore una apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario, ma prorogabile in certe situazioni, ed imponendo se del caso specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
Ai sensi dell’art. 21, poi, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’organo di vigilanza deve verificare se la violazione sia stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati.”
A questo punto la Suprema Corte, nel precisare i diversi percorsi che il procedimento segue nelle due diverse eventualità che vi sia stata o meno la regolarizzazione da parte del contravventore, ci ricorda che tutto ciò confluisce comunque in una comunicazione data dall’u.p.g. al pubblico ministero, il quale rappresenta sempre - come abbiamo visto – l’interfaccia dell’u.p.g.:
-          “se risulti l’adempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, nel termine di trenta giorni, una sanzione amministrativa nella misura ivi indicata e quindi, entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, deve comunicare al pubblico ministero l’adempimento alla prescrizione e l’eventuale pagamento della sanzione amministrativa.”
-          “se invece risulti l’inadempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza deve darne comunicazione sia al pubblico ministero sia al contravventore, entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione.”
 
E ancora, in tal senso, Cassazione Penale, Sezione Terza, con sentenza 18 dicembre 1998 n. 13340, ribadisce che “secondo la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro introdotta dagli artt. 19 e seg. del D.Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758, il giudice, prima di pronunciare sentenza di condanna per una delle contravvenzioni ivi previste, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa. Ovvero che l'organo di vigilanza abbia impartito al contravventore una apposita prescrizione fissando il termine necessario per la regolarizzazione; che l’organo di vigilanza non oltre sessanta giorni dalla scadenza di tale termine abbia verificato che la violazione sia stata eliminata secondo le modalità e nei termini prescritti; che in caso positivo l'organo di vigilanza abbia invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa nel termine di trenta giorni; che si sia comunicato al P.M., entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’inadempimento alla prescrizione stessa ovvero, entro centoventi giorni dal medesimo termine, che il contravventore sebbene abbia adempiuto alla prescrizione, non ha effettuato il pagamento della sanzione. Il processo rimane sospeso fino al momento in cui pervenga al P.M. una di tali comunicazioni, mentre in caso di adempimento alla prescrizione e di pagamento della sanzione il reato si estingue.”
 
 
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
 
 
 


[1] La Commissione per gli interpelli è stata istituita con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011 presso la Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro.
[2] La Commissione per gli interpelli è composta da due rappresentanti del Ministero del lavoro e previdenza sociale, due rappresentanti del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e quattro rappresentanti delle regioni e delle province autonome. Qualora la materia oggetto di interpello investa competenze di altre amministrazioni pubbliche la Commissione è integrata con rappresentanti delle stesse.
 
[3] Si vedano anche gli articoli 347 e 357 c.p.p.
[4] Il tema trattato dalla sentenza è il rapporto tra il D.Lgs.758/94 e l’art. 162- bis del codice penale.

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