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"Articolo 2087 del codice civile: l’ampiezza dell’obbligo di tutela "
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
14/05/2015 - Una recente pronuncia di merito (
Tribunale
del lavoro di Genova, Dott. Basilico, 23 Marzo 2015) permette una breve
riflessione su un tema importante e da sempre discusso, vale a dire in ordine
alla ampiezza della ricaduta applicativa della disposizione dell’ articolo
2087 del codice civile la quale impone all’imprenditore di “…
adottare nell’esercizio dell’impresa le
misure che, (…), sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale del lavoratore”). Come noto tale norma
viene generalmente considerata impositiva al datore di lavoro di un
generale obbligo di sicurezza nei confronti dei propri prestatori di lavoro e
costituisce il principale riferimento in tema di tutela dell’integrità fisica e
morale del prestatore di lavoro.
Pur non potendo
certo, in questa sede, approfondire il tema, è opportuno comunque evidenziare
che l’obbligo disciplinato dalla norma codicistica – pacificamente ritenuto
applicabile a qualunque organizzazione di lavoro, pubblica e privata,
indipendentemente dalla dimensione e complessità – consiste nella adozione di
ogni provvedimento idoneo ad evitare che dall’espletamento dell’attività
lavorativa in azienda possa derivare, per cause legate alla attività
lavorativa, una lesione alla persona del lavoratore ( [1]).
Dunque, come è possibile leggere in molte delle sentenze che negli anni hanno fatto applicazione del principio appena richiamato, la formulazione dell’articolo 2087 c.c. – grazie alla sua ampiezza e consequenziale “dinamicità” – permette di qualificare l’articolo in questione come “norma di chiusura” dell’ordinamento, capace di fornire ai principi costituzionali di cui all’articolo 32 (diritto alla salute dei cittadini) e 41, secondo comma (rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana), della Costituzione la possibilità di attagliarsi a ogni possibile situazione ( [2]). Tale orientamento è da considerarsi del tutto consolidato, come emerge da Cass., sez. lav., 7 giugno 2013, n. 14468, ove è dato leggere che: “ L’adempimento dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore imposto dall’ articolo 2087 del codice civile è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d’attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi connessi tanto all’impiego d’attrezzi e macchinari quanto all’ambiente di lavoro” ( [3]).
Dunque, come è possibile leggere in molte delle sentenze che negli anni hanno fatto applicazione del principio appena richiamato, la formulazione dell’articolo 2087 c.c. – grazie alla sua ampiezza e consequenziale “dinamicità” – permette di qualificare l’articolo in questione come “norma di chiusura” dell’ordinamento, capace di fornire ai principi costituzionali di cui all’articolo 32 (diritto alla salute dei cittadini) e 41, secondo comma (rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana), della Costituzione la possibilità di attagliarsi a ogni possibile situazione ( [2]). Tale orientamento è da considerarsi del tutto consolidato, come emerge da Cass., sez. lav., 7 giugno 2013, n. 14468, ove è dato leggere che: “ L’adempimento dell’obbligo di tutela dell’integrità fisica del lavoratore imposto dall’ articolo 2087 del codice civile è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d’attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi connessi tanto all’impiego d’attrezzi e macchinari quanto all’ambiente di lavoro” ( [3]).
Nell’ambito di tale
generale tematica si inserisce da sempre una discussione molto accesa – per le
sue ricadute in termini anche di natura occupazionale e sindacale – in
ambito ferroviario e relativa alla
circostanza che i
treni siano condotti
necessariamente da almeno due macchinisti o anche solo da uno.
Dal punto di vista
della salute e sicurezza sul lavoro (l’unico che in questa sede si può
affrontare), la questione da risolvere è se una modalità organizzativa che
preveda che i treni siano condotti da un solo macchinista sia sufficiente a
garantire un efficace soccorso al macchinista stesso, in caso di suo malore,
assicurando al contempo ai viaggiatori il rispetto di elementari condizioni di
sicurezza.
In ordine a tale
delicata tematica ricordo come, nella mia qualità di dirigente delle divisioni
competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro presso il Ministero del
lavoro, ebbi modo di ricevere molte segnalazioni di natura sindacale che
sottolineavano la necessità di prevedere le più idonee misure di organizzazione
per affrontare la possibilità di un malore del macchinista e che di tali
segnalazioni, unitamente alle considerazioni delle Ferrovie dello Stato
(all’epoca unico esercente ferroviario), si ebbe modo di tener conto nella
stesura – di iniziativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –
del decreto
interministeriale 24 gennaio 2011, n. 19, attuativo della previsione
dell’articolo 45, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008( [4]).
Più nel dettaglio,
nell’ambito della discussione tra Amministrazioni e in sede di Conferenza
Stato-Regioni venne più volte ipotizzato l’inserimento nell’ambito del
provvedimento di una previsione in forza della quale venisse imposto al datore
di lavoro di prevedere la presenza necessariamente contemporanea di due
macchinisti, quale unica modalità che garantisca il più rapido ed efficace
soccorso nell’eventualità di un malore del conducente del treno. In ultima
istanza prevalse, però, la considerazione che una tale previsione sarebbe stata
una ingerenza nei riguardi del potere di organizzazione del datore di lavoro,
tenuto – in applicazione della citata previsione di cui all’art. 2087 c.c. –
comunque ad adottare le migliori misure di prevenzione per garantire un
soccorso pronto ed efficace in caso di malore del macchinista.
Ed, infatti, il
decreto 24 gennaio 2011, espressamente
applicabile (cfr. art. 2) al
“personale
di macchina e viaggiante operante su materiale rotabile in esercizio e a vuoto”,
dispone in modo chiaro – senza specificare le “modalità” dell’adempimento di
tale obbligo – che i
“gestori delle
infrastrutture e le imprese ferroviarie, coordinandosi fra loro e con i servizi
pubblici di pronto soccorso, predispongono procedure operative per attuare uno
specifico piano di intervento che preveda per ciascun punto della rete
ferroviaria le modalità più efficaci al fine di garantire un soccorso
qualificato nei tempi più rapidi possibili anche per il trasporto degli
infortunati”.
Il medesimo decreto
impone al datore di lavoro di garantire la fornitura di complete
dotazioni di primo soccorso (art. 5)
sul treno e la
formazione (art. 6)
del personale sulle procedure di soccorso, sulle tecniche di primo soccorso e
sui contenuti del pacchetto di medicazione, in un corso di durata di 6 ore.
Infine, sempre il decreto del 2011 (art. 7) ha imposto alle aziende che
svolgono attività in ambito ferroviario una precisa tempistica – ormai
ampiamente scaduta – per l’adozione di misure tecnologiche (es.: interventi
sulle reti, sistemi di comunicazione interni ai treni), procedurali (es.:
procedure di primo soccorso) e formative.
Pure a seguito
dell’adempimento da parte delle aziende che svolgono attività nel settore
ferroviario di tali disposizioni, permangono le segnalazioni di parte sindacale
in ordine alla
inefficacia delle
procedure attuate a garantire un tempestivo soccorso al macchinista che
abbia un malore e in diverse occasioni i giornali hanno riportato notizie di
indagini al riguardo da parte di alcune Procure della Repubblica (Torino su
tutte). In particolare, in tali segnalazioni (che ho avuto modo di leggere) si
rimarca come in certe tratte ferroviarie o su certi treni i tempi di un
soccorso al macchinista “unico” sarebbero inaccettabilmente lunghi esponendo a
pericolo la salute di viaggiatori e del lavoratore e si chiede, di conseguenza,
che i macchinisti siano necessariamente due o che si adotti comunque una
modalità di organizzazione del personale che consenta una più adeguata
“copertura” delle situazioni in cui è necessario attivare le procedure di primo
soccorso.
In tale contesto il
Tribunale di Genova reintegra il lavoratore
(macchinista) licenziato in quanto per due volte si era rifiutato di svolgere
la propria prestazione come conducente “unico” del treno adducendo che essa si
sarebbe altrimenti dovuta svolgere in condizioni di mancata sicurezza per
quanto concerne l’eventualità di un proprio malore. In particolare, il Giudice
ha ritenuto che il rifiuto della prestazione sia da ritenersi in tal caso
giustificato ai sensi dell’articolo 1460 c.c., a fronte di un rilevante
inadempimento datoriale relativo alla salute e sicurezza sul lavoro. Al
riguardo, il Tribunale sottolinea che:
“
Un'interpretazione estensiva del
disposto dell'art. 2087 c.c. si giustifica col rilievo costituzionale del
diritto alla salute ed anche coi principi di correttezza e buona fede, ex artt.
1175 e 1375 c.c., cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto lavorativo
(Cass., sez.
lav., 22 marzo 2002, n. 47291)”. Nel caso
di specie, secondo il Giudice,
“Tutti i
documenti confermano dunque (…) che l’assenza d'un secondo operatore abilitato
alla guida costringe il treno ad attendere i soccorsi nel
luogo in
cui esso sia stato costretto a fermarsi dai malore del macchinista. E' dunque
evidente che la nuova organizzazione ha prolungato i tempi d'intervento a
tutela della sicurezza del macchinista in modo rilevante e, soprattutto,
imprevedibile in ragione della diversità dei luoghi in cui l'emergenza può
verificarsi. Nel caso di grave malore, che richieda un intervento urgente -
nella discussione si è fatto riferimento all'infarto miocardico - un siffatto prolungamento
è destinato ad avere effetti certamente pregiudizievoli per la salute del
lavoratore”. A fronte di una simile situazione, ad avviso del Giudice, trova
attuazione la giurisprudenza in forza della quale è configurabile una
responsabilità del datore di lavoro, se questi,
"con comportamenti specifici ed anomali, da provarsi di volta in
volta da parte del soggetto interessato, determini un aggravamento del tasso di
rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura
dell'attività che il lavoratore è chiamato a svolgere" (Cass., sez.
lav.,30 agosto 2000, n. 11, 427).
Nel caso in
esame, prosegue la sentenza in commento, i comportamenti
“specifici ed anomali” andrebbero
“ricondotti all'arretramento considerevole del livello di tutela
del macchinista causato dall'applicazione d'un modello organizzativo esteso
a linee ferroviarie, quali la cd. Pontremolese e la La Spezia-Firenze, nelle
quali la configurazione dei luoghi e dei percorsi rende oltremodo difficoltoso
ed intempestivo il suo soccorso”.
Pur trattandosi
di una decisione – per quanto autorevole – di primo grado, da verificare quindi
nelle successive fasi di giudizio, la sentenza appare oltremodo interessante in
quanto, in estrema sintesi:
- riconosce, senza mezze misure, la possibilità che
il lavoratore rifiuti legittimamente la prestazione lavorativa se essa non si
svolga in condizioni di piena salute e sicurezza;
- entra nel merito (in modo probabilmente
discutibile) dell’organizzazione aziendale per affermare che le scelte
dell’azienda possono essere censurate in Giudizio qualora ritenute inidonee a
garantire il livello di tutela imposto dall’articolo 2087 c.c.;
- ribadisce che in simili fattispecie l’eventuale
presenza (come nel caso di specie, nel quale esiste una regolamentazione – per
quanto formalmente contestata da molti macchinisti – di natura sindacale che
avalla le scelte aziendali che consentono la presenza di un solo macchinista)
di un accordo sindacale non può essere ostativa a una pronuncia giudiziale, che
deve fondarsi sui principi inderogabili in materia di salute e sicurezza sul
lavoro, non disponibili per le parti sociali;
- sembra suggerire alle aziende che gestiscono il trasporto
ferroviario che le modalità di organizzazione del primo soccorso debbono
essere riviste, almeno in relazione ad alcune tratte ferroviarie con
particolari caratteristiche in termini di complessità e minore efficienza
tecnologica delle infrastrutture.
Avv. Lorenzo Fantini
Avvocato
giuslavorista, già dirigente (anni 2003-2013) delle divisioni salute e
sicurezza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
([1])
Si vedano, tra le tante, Cass. lav. 5 febbraio 2014,
n. 2626, disponibile sul sito www.olympus.uniurb.it; Cass. pen., 7
aprile 2011, n. 13777, inedita a quanto consta; Cass. lav. 28 giugno 2008, n.
17309,in
GL., n. 37, 2008, 32; Cass.
pen., sez. IV, 29 novembre 2005,
in
ISL, 2006,
58; Cass. pen. 18 maggio 2005,
ibidem, 2005,
521, nonché, tra le tante, Cass. pen., sez. IV, 2 luglio 1999, in
Foro It., 2000, II, 260, con
nota di R. GUARINIELLO.
([2])
Come evidenziato da M. LEPORE,
Manuale di
diritto della sicurezza sul lavoro, Roma, 2010, 16, con l’articolo 2087
c.c. “furono, da un lato, gettate le basi di un diverso modo di concepire la
prevenzione e, dall’altro, venne sancito il principio di diritto comune del
“dovere di sicurezza del lavoro” a carico dell’imprenditore e, quindi, il
corrispettivo “diritto dei lavoratori alla tutela della integrità
psico-fisica”.
([3])
Dunque, incombe sull’imprenditore l’onere di dimostrare di aver fatto il
possibile – per mezzo della valutazione dei rischi e della progettazione e
realizzazione delle corrispondenti misure di prevenzione e tutela – per evitare
il fatto. In tal caso è possibile che l’evento venga considerato effetto di un
comportamento “abnorme” del lavoratore, come tale intendendosi un comportamento
idoneo da solo a determinare l’evento, con conseguente assoluzione del datore
di lavoro. In questo senso, ad esempio, in relazione ad una morte di un operaio
folgorato in un cantiere edile, Cass. lav., 13 Giugno 2012, n. 9661.
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