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"Le norme a protezione dalla caduta dall’alto nei lavori in quota"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
14/09/2015 -
Gerardo Porreca
E’ una
interpretazione non condivisibile quella che la Corte di Cassazione ha data in
questa sentenza in merito all’applicazione dell’art. 122 del D. Lgs. n.
81/2008, così come modificato dal D. Lgs. n. 106/2009, riguardante l’obbligo di
proteggere i lavoratori dal rischio di caduta dall’alto nei lavori
in quota e di utilizzare, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate
impalcature o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte
ad eliminare tale tipo di rischio.
La non condivisione è motivata dal fatto che è stato lo stesso legislatore a dare, con l’articolo 107 del D. Lgs. n. 81/2008, la definizione di “ lavori in quota”, e ciò, ha precisato lo stesso, per gli effetti dell’applicazione delle disposizioni del Capo II del Titolo IV nel quale è inserito appunto l’articolo 122.
Gli stessi lavori in quota sono stati specificatamente individuati in quelle attività “ che espongono il lavoratore al rischio di caduta dall’alto da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile” facendo sottintendere che in pratica ciò che conta non è l’altezza alla quale è posta la lavorazione da effettuare ma il piano di calpestio sul quale opera il lavoratore esposto al rischio di caduta dall’alto. Quanto appena affermato non significa ovviamente che il lavoratore che operi su di un piano di calpestio posto ad una quota inferiore ai 2 metri rispetto ad un piano stabile, così come è avvenuto nel caso esaminato nella sentenza, non vada protetto dalla caduta dall’alto perché l’obbligo della protezione comunque sussiste ma nel rispetto di altre disposizioni contenute nello stesso D. Lgs. n. 81/2008 che nelle contestazioni agli imputati nel caso in esame non sono state richiamate.
La non condivisione è motivata dal fatto che è stato lo stesso legislatore a dare, con l’articolo 107 del D. Lgs. n. 81/2008, la definizione di “ lavori in quota”, e ciò, ha precisato lo stesso, per gli effetti dell’applicazione delle disposizioni del Capo II del Titolo IV nel quale è inserito appunto l’articolo 122.
Gli stessi lavori in quota sono stati specificatamente individuati in quelle attività “ che espongono il lavoratore al rischio di caduta dall’alto da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile” facendo sottintendere che in pratica ciò che conta non è l’altezza alla quale è posta la lavorazione da effettuare ma il piano di calpestio sul quale opera il lavoratore esposto al rischio di caduta dall’alto. Quanto appena affermato non significa ovviamente che il lavoratore che operi su di un piano di calpestio posto ad una quota inferiore ai 2 metri rispetto ad un piano stabile, così come è avvenuto nel caso esaminato nella sentenza, non vada protetto dalla caduta dall’alto perché l’obbligo della protezione comunque sussiste ma nel rispetto di altre disposizioni contenute nello stesso D. Lgs. n. 81/2008 che nelle contestazioni agli imputati nel caso in esame non sono state richiamate.
Il caso
La Corte d'Appello ha confermata la
sentenza emessa dal Tribunale con la quale il datore di lavoro di un’impresa
edile nonché il responsabile dei lavori ed il coordinatore
per la sicurezza in fase di esecuzione sono stati condannati alla pena di
mesi due di reclusione ciascuno per il reato di cui agli artt. 113 e 590 del
codice penale per aver cagionato ad un lavoratore, in conseguenza della caduta
da un ponteggio dall'altezza di metri 2,55, lesioni personali consistite in
frattura cranica e delle arcate zigomatiche nonché lussazione scapolo-omerale
che avevano comportato una malattia durata più di 40 giorni.
Al datore di lavoro era stato ascritto
di aver omesso, in violazione dell'art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008, di far
eseguire il ponteggio con adeguati parapetti anticaduta e con un piano di
calpestio completo, al responsabile dei lavori era stato ascritto di aver
omesso, in violazione dell'art. 93 del D. Lgs. n. 81/2008, di verificare
l'adempimento da parte dei coordinatori degli obblighi di assicurare e di
verificare il rispetto, da parte dell'impresa esecutrice, delle disposizioni
contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché la corretta
applicazione delle procedure di lavoro ed al coordinatore per la sicurezza
in fase di esecuzione dei lavori, era stato ascritto di aver omesso, in
violazione dell'art. 92 D. Lgs. n. 81/2008, di verificare la corretta
applicazione da parte dei lavoratori del manufatto irregolarmente eretto.
La Corte di Appello aveva osservato,
in particolare, che l'infortunio si era verificato durante i lavori di
costruzione di un muro, che avrebbe dovuto erigersi fino all'altezza di 3,5 metri
all'interno di un capannone e che, prescrivendo le norme antinfortunistiche che
per i lavori da eseguirsi in quota dovessero prevedersi idonei parapetti, era
ravvisabile la responsabilità degli imputati, in relazione al ruolo da ciascuno
svolto, tenuto conto che l'impalcatura sulla quale stava lavorando
l'infortunato era risultata priva di adeguate protezioni onde prevenire il
rischio di caduta dall'alto.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte
d'Appello hanno proposto ricorso per cassazione tutti e tre gli imputati a
mezzo dei rispettivi difensori. Il datore di lavoro ha lamentato, tra l’altro,
che la corte territoriale aveva ritenuto che le norme antinfortunistiche
prevedessero che, per ogni lavorazione da eseguirsi in quota sopraelevata da
terra, fosse necessario predisporre presidi anticaduta nel mentre l'art. 107 del
D. Lgs. n. 81/2008, nel definire il rischio di caduta, prevedeva che esso
esistesse se la caduta si verificava da una quota posta ad altezza superiore a
2 metri da un piano stabile mentre nel caso in esame, pur essendo le
lavorazioni da effettuare poste all'altezza di metri 2.55 da terra, il piano di
calpestio era però ad un livello inferiore ai due metri. Ininfluente è stato
considerato altresì dallo stesso datore di lavoro il richiamo operato dai
giudici di merito all'art. 29 del D.P.R. n. 164/56, che prevedeva per le sole
passerelle, e non per i ponteggi, l'azione di parapetti o tavole fermapiede
senza precisare la quota di installazione delle stesse rispetto al suolo. Come altra motivazione il datore di lavoro ha
fatto presente che i giudici di merito non avevano tenuto conto che lo stesso aveva
conferito una delega al soggetto preposto alla direzione del cantiere, che comunque
era il responsabile della sicurezza indipendentemente dalla delega stessa,
oltre al fatto di non essere consapevole dell'innalzamento del ponteggio.
Il responsabile dei lavori, da parte
sua, ha fatto presente a sua difesa che, così come emerso dalla deposizione di
alcuni testi, l'infortunato quando è caduto non stava eseguendo i lavori di
erezione del muro stando sul ponteggio
ma stava installando il ponteggio stesso che non era ancora completato per cui
l’unico responsabile per il ponteggio posto in essere per l'esecuzione dei
lavori era da considerarsi, secondo lui, il capocantiere. Si trattava, quindi,
di un ponteggio fatto erigere da altri in modo non prevedibile da parte del responsabile
dei lavori.
Il CSE, nel ricordare che l'art. 92
del D. Lgs. n. 81/2008 prevede che il coordinatore per l'esecuzione dei lavori
deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo,
l'applicazione da parte dell'impresa esecutrice delle disposizioni contenute
nel piano di sicurezza e di coordinamento, ha lamentato che i giudici di merito
non avevano considerato che il ponteggio in esame non era presente nel piano
stesso e che, dunque, la sua esecuzione non era prevista per cui non avrebbe
potuto mettere in atto alcuna azione di prevenzione ed in più ha precisato che
il giorno precedente dell’infortunio, quando si è recato sul posto, il
ponteggio non c'era né era possibile prevedere che sarebbe stato eretto.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto
infondati tutti e tre i ricorsi presentati dagli imputati e li ha pertanto
rigettati. Per quanto riguarda il motivo proposto dal datore di lavoro,
relativo all’applicazione delle disposizioni a protezione dalla caduta dall’alto
nei lavori in quota, la Corte suprema ha sostenuto che “i
nvero va considerato che l'art. 122 D. Lvo n. 81/2008, come modificato
dall'art. 77 D. Lvo n. 106/2009, prevede che nei lavori in quota debbano essere
adottate, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o
ponteggi o idonee opere
provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta
di persone e di cose conformemente. Il legislatore ha, dunque, imposto una
maggiore cautela rispetto a quella che era prevista prima della riforma
effettuata ai sensi del D. Lvo n. 106/2009, la quale prevedeva che le cautele
medesime dovessero essere adottate nei lavori che fossero eseguiti ad
un'altezza superiore ai m 2”. “
La
norma si riferisce, dunque”, ha così proseguito la Sez. IV, “
a lavori non eseguiti ad altezza d'uomo,
bensì ad un'altezza dal suolo - qualunque essa sia - che ne renda più difficile
e rischiosa l'esecuzione, tanto da rendere necessario il ricorso a misure
capaci di prevenire il rischio di cadute. Una modifica, quindi, che ha, in tale
materia, ampliato i casi di ricorso alle opere provvisionali e a sistemi di
protezione per lavori come quello che avrebbe dovuto eseguire (l’infortunato
) che, per completare l'erezione del muro
fino all'altezza di metri 3,5 dal suolo,
doveva necessariamente avvalersi di un ponteggio”.
Giustamente quindi, secondo la Corte
suprema, erano stati individuati nel caso in esame i profili di colpa
espressamente contestati al datore di lavoro nel capo d'imputazione. Con
riferimento poi alla delega in materia di sicurezza sul lavoro la Corte
territoriale, legittimamente secondo la Sez. IV, ne aveva esclusa l’esistenza
per la mancanza dei requisiti previsti dall’art. 16 del D. Lgs. n. 81/2008 fermo
restando che quand'anche fosse esistita la delega di funzioni la stessa non avrebbe
escluso comunque l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine
al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite.
Manifestamente infondato è stato altresì
ritenuto dalla Sez. IV il ricorso presentato dal responsabile dei lavori laddove
lo stesso ha sostento che il ponteggio era in corso di allestimento e che i
lavori non erano ancora iniziati. La corte territoriale, ha fatto notare infatti
la Sez. IV, ha evidenziato come le fotografie raffiguranti lo stato dei luoghi
mostrassero che sopra il ponteggio erano stati collocati mattoni ed un secchio
di malta, il che lasciava logicamente intendere che i lavori erano in corso di
esecuzione al momento della caduta dell'infortunato. Analogamente infondato la
Corte suprema ha ritenuto il ricorso presentato dal coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione dei lavori in quanto la corte territoriale ha ravvisata
la sua responsabilità per non avere adempiuto agli obblighi del CSE predisponendo
le misure di sicurezza e controllando in modo continuo ed effettivo
l'osservanza delle misure predisposte.
Il coordinatore per l'esecuzione dei
lavori, ha così concluso la sez. IV, deve verificare, attraverso una attenta e
costante opera di vigilanza, l'eventuale sussistenza di obiettive situazioni di
pericolo nel cantiere per cui giustamente i giudici di merito, facendo corretta
applicazione di tale principio, avevano rilevato che l’imputato avrebbe dovuto
vigilare affinché il ponteggio fosse eseguito nel rispetto delle norme
antinfortunistiche non assumendo alcun rilievo la circostanza che il giorno
della posa in opera del manufatto egli non fosse presente in cantiere in quanto
la sua predisposizione era prevedibile perché necessaria in relazione alle
opere da eseguire.
Gerardo Porreca
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