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"Imparare dagli errori: incidenti mortali nella costruzione di viadotti"
fonte www.puntosicuro.it / INFORTUNI
29/10/2015 - Come per altre presentazioni di interventi a seminari della Contarp dell’Inail, anche in questo caso in “ Imparare dagli errori”
abbiamo la possibilità non solo di analizzare gli errori, ma anche
approfondire più nel dettaglio le cause arrivando anche a fare intuire
possibili responsabilità.
In particolare l’incidente riguarda le attrezzature denominate “
casseforme rampanti”
utilizzate per costruire strutture di notevole sviluppo in altezza
ottenute progressivamente, per fasi successive, dal basso verso l’alto. E
il
plurimo infortunio mortale è relativo ad un cantiere edile di
realizzazione di un tratto autostradale in quota e alle operazioni per la costruzione di un
pilone di sostegno di un viadotto con l’impiego del cosiddetto “sistema a ripresa”, anche definito a “casseforme rampanti”.
L’intervento che presentiamo - tratto dagli atti dell’8° Seminario di aggiornamento dei professionisti Contarp “ Dalla valutazione alla gestione del rischio. Strategie per la salute e la sicurezza sul lavoro” (Roma, novembre 2013) – è intitolato “
Infortuni, modelli organizzativi e decisionali: un caso inerente la costruzione di viadotti”
ed è a cura di M. Frilli e F. Bolognesi (Uf Tav e Grandi Opere Ausl 10
Firenze), G. Quartararo (Inail - Direzione Regionale Toscana –
Avvocatura), D. Gilioni e E. Mastrominico (Inail Direzione Regionale
Toscana, Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione).
La dinamica dell’incidente
Il grave infortunio è, come già
detto, correlato alle operazioni per la costruzione di un pilone di sostegno di
un viadotto con l’impiego del cd. “
sistema
a ripresa”. Il documento ricorda che “dal punto di vista costruttivo
esistono diverse tipologie di questi sistemi, ognuna delle quali può adottare
differenti dispositivi di ancoraggio alla struttura in costruzione. Nel caso in
esame è stato adottato il
sistema di
casseforme a ripresa, costituite da mensole a telaio, collegate tramite
ancoraggio al getto precedente”.
Veniamo alla
dinamica dell’incidente.
Il giorno dell’infortunio i lavoratori
della squadra che si occupava del montaggio del sistema di casseforme rampanti
al momento di fissare l’ultimo ancoraggio dell’ultima passerella, “non
riuscivano ad avvitare il sistema di bloccaggio che non aderiva completamente
alla parete, ma rimaneva in parte fuori. Trovandosi davanti ad un imprevisto,
decisero di chiedere l’intervento dell’operatore di terra” che, a sua volta,
“rintracciò telefonicamente l’assistente tecnico, in quel momento impegnato su
un altro lotto del cantiere”.
L’intervento – che vi invitiamo a
leggere integralmente - si sofferma, con dovizia di particolari, sui vari
avvenimenti successivi.
L’assistente tecnico insieme a un
operaio cercarono una vite che potesse entrare nel rocchetto e “trovarono una
vite M22 (anziché M24)”. L’assistente tecnico, “dopo aver consegnato la vite,
lasciò il cantiere, mentre i componenti della squadra ripresero le loro
posizioni, provarono il serraggio della vite che sembrava riuscito. D’altronde
il diametro esterno della vite M22 è per l’appunto pari a 22 mm e ciò
consentiva alla vite di accoppiarsi - seppure con difficoltà ed in modo
precario (passo differente) - alla madrevite M24 il cui diametro interno è pari
invece a 21 mm. Tutto questo, però, consentiva un’interferenza di appena 1 mm,
a fronte dell’interferenza richiesta nell’accoppiamento M24 che è di circa 3
mm, determinando così un cedimento del filetto sottoposto a sollecitazione ben
maggiore. Montata la passerella, gli operatori vi salirono sopra, sganciarono
le cinture di sicurezza, ma l’ultimo ancoraggio fissato cedette, la passerella
si inclinò di circa 45°”.
Tre operai caddero nel vuoto e
morirono nell’impatto sul terreno, mentre un quarto operaio rimase in bilico
sulla passerella attigua a quella che aveva ceduto.
Gli errori e le considerazioni
L’intervento indica che alcune
anomalie riscontrabili nella gestione del
cantiere sono da porsi, anche indirettamente, in relazione al verificarsi
dell’evento e sono da ritenersi elementi obiettivi e non contestabili:
1) “dei quattro lavoratori che si
trovavano in quota, uno (operaio 3) non avrebbe dovuto neppure esserci essendo
dipendente di una ditta in subappalto incaricata contrattualmente di svolgere
di manovalanza/carpenteria a terra;
2) nessun caposquadra era
presente, né in quota, né a terra, essendo il relativo titolare in ferie da
alcuni giorni, mentre l’assistente tecnico di riferimento si trovava in un
altro cantiere non adiacente e facente parte del complesso cantiere di costruzione
autostradale;
3) uno dei due perni su cui era
ancorata la passerella ha ceduto in quanto il rocchetto sul quale poggiava la
passerella era stato fissato al restante cono, posto all’interno del pilone in
cemento solidificato, con una vite diversa dalla M24x120, ovvero diverso per
diametro e lunghezza: M22 x 90; in buona sostanza solo apparentemente la vite,
nel bloccare il rocchetto aveva fatto presa all’interno della filettatura del
cono;
4) la vite era stata utilizzata
perché al momento del montaggio del cono con il rocchetto, questo risultava
sporgente dal cemento armato e non consentiva di calettare l’innesto a
baionetta della passerella; la decisione di utilizzare una vite più corta
(risultata però anche diversa come diametro e passo) venne presa
dall’assistente tecnico che, fornita la vite ai lavoratori, si allontanò;
5) la pressoché totalità dei coni
utilizzati nella cassaforma, compreso quello oggetto di cedimento, era
lesionata e risultava non utilizzabile in sicurezza in quanto priva di “spina
di battuta”; quest’ultima, un fermo interno, visibile ad occhio nudo, impedisce
il rischio di sopravanzamento, nella fase di avvitatura della barra dyvidag sul
cono con conseguente rischio di riduzione dello spazio riservato
all’avvitatura, nel lato opposto, della vite M24x120 necessaria all’ancoraggio
del rocchetto;
6) un altro sistema che
garantisce l’esatto montaggio del cono, costituendo una “ridondanza” in tema di
sicurezza, è costituito dalla misurazione del “fuori tutto” (piastra+barra
dyvidag + cono) prima di effettuare la colata di cemento nella cassaforma; il
rischio da scongiurare, infatti è quello che, una volta solidificato il
cemento, si venga a creare una forma interna del cono inadeguata riguardo la
distanza dalla parete ove ancorare la passerella, anche perché, se ciò
accadesse, il rimedio sarebbe tecnicamente complesso e costoso; se la
misurazione fosse stata effettivamente effettuata prima della colata di
cemento, anche in mancanza di spina di battuta, la forma del cono nel cemento sarebbe
stata appropriata (mentre ciò evidentemente non è successo);
7) nessuno in quel cantiere aveva
effettuato lo specifico corso di formazione della casa produttrice sulle
modalità di montaggio del sistema di ancoraggio;
8) non era stato predisposto uno
specifico capitolo del P.O.S.
per il “sistema a ripresa” per quello specifico cantiere; era stato invece
utilizzato un progetto relativo ad un’altra tipologia di pilone che, pure
presentando forti analogie con quello in costruzione, non era allo stesso
sovrapponibile;
9) gli operatori in cantiere
avevano a disposizione solo le tavole relative a quel P.O.S. specifico e il
manuale del sistema di ripresa scritto in lingua straniera;
10) nel POS generale di
cantiere era previsto l’utilizzo di un cestello sopraelevatore come ausilio
per gli operatori in quota sopra i 6 metri, mentre in cantiere non c’era
affatto;
11) le passerelle utilizzate non
avevano la sottopasserella che, pur non prevista come obbligatoria dalla casa
costruttrice, oltre a dare maggiore stabilità (antivento) alla passerella
montata, era utile per effettuare alcune attività secondarie (quali ad esempio
il recupero in sicurezza dei coni già
utilizzati per la cassaforma inferiore e la successiva chiusura dei relativi
fori)”.
Conclusioni
Ricordiamo che nella fattispecie
di infortunio mortale plurimo avvenuto durante la costruzione del pilone di
cemento armato destinato a sostenere il viadotto
autostradale, l’Inail si è costituita parte civile “nel processo penale a
carico delle persone fisiche imputate del delitto di omicidio colposo plurimo
commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro”.
E l’intervento segnala che dall’esame
dei documenti e dall’istruzione dibattimentale svolti alla data del seminario
Contarp (allora il processo di primo grado non era ancora stato deciso)
sembrerebbero “emergere alcuni
aspetti
ulteriori”.
Ad esempio “vigeva in cantiere
una prassi, non prevista dal fabbricante del sistema di ripresa, di inserire un
cono già montato e serrato con il rocchetto (che poi sarebbe stato sfilato
tutto intero; il recupero di questi coni avveniva in mancanza sia della
sottopasserella, sia del cestello elevatore) utilizzando la stessa passerella
una volta sganciata a mezzo dell’autogru, con i lavoratori posti in sospensione
sulla stessa e legati con le cinghie al pilone o alle catene dell’autogru che
sorreggevano la passerella. Questo può far ipotizzare, in modo plausibile, che
l’avvitatura all’interno della cassaforma del cono già montato con il
rocchetto, così come il successivo recupero dello stesso, venisse effettuata
utilizzando una chiave di manovra e ciò, presumibilmente, anche in relazione
necessità di velocizzare
i tempi”.
E conseguentemente, si può “plausibilmente
ipotizzare, che questa prassi ben potrebbe aver cagionato la rottura delle
spine di battuta all’interno dei coni, pregiudicandone l’integrità, la
funzionalità e la sicurezza; questi fermi metallici, infatti, attraverso
l’avvitatura a mano, fortemente raccomandata dalla ditta costruttrice
all’interno del manuale, non avrebbero potuto altrimenti essere rotti”.
L’intervento in definitiva
conclude sottolineando che i sistemi di ripresa in questione “risultano essere
di una certa complessità, pertanto non si prestano ad un montaggio ed un
conseguente uso in maniera approssimativa. Da ciò la considerazione che essi
richiedono una corretta progettazione
secondo le esigenze costruttive del manufatto da realizzare. D’altronde
detti sistemi sono di tipo omologato, il che presuppone che vadano
assolutamente montati e utilizzati secondo
le istruzioni del fabbricante in conformità a quanto previsto dalle specifiche
norme che regolano l’omologazione e che risultano riportate nel manuale
della casa costruttrice”.
E dunque considerando “l’assenza
di un idoneo progetto per il viadotto in questione, diventa improbabile una
corretta esecuzione delle successive fasi di montaggio. Infatti, in questo tipo
di sistemi (omologati) non è consentito l’utilizzo di componenti estranei al
sistema di origine né di parti che non siano in buono stato di manutenzione, né
la possibilità di utilizzare il sistema secondo configurazioni diverse da
quelle previste dalle specifiche del fabbricante”. E nel caso in esame, “le
barre utilizzate erano sì quelle originali della casa costruttrice, ma - in
assenza di progetto - non era possibile rilevare che fossero della giusta
lunghezza; allo stesso modo, molti dei coni presenti in cantiere si
presentavano senza la necessaria spina di battuta”. E tutto ciò
“anche a voler prescindere dalla
singolare ‘prassi’ riscontrata, con riguardo al montaggio del cono tutto intero
(che verosimilmente è all’origine della rottura diffusa delle spine di
battuta)”.
E si può concludere indicando che
la sicurezza nell’uso delle casseforme rampanti/sistemi di ripresa “dipende,
quindi, principalmente da una
corretta
progettazione del sistema, ovvero da un corretto dimensionamento, una corretta
configurazione ed una corretta sequenza di montaggio. Ciò però non basta,
occorre assicurare una
corretta
esecuzione delle procedure operative di montaggio, smontaggio, uso e controllo,
garantendo che gli elementi utilizzati siano solo quelli espressamente previsti
in sede progettuale e siano in buone condizioni di conservazione”. Senza
dimenticare che il personale addetto “deve essere informato, formato e
addestrato sugli specifici sistemi adottati in cantiere, oltre che naturalmente
possedere l’idoneità ai lavori in
quota”.
Prevenzione
Dopo aver presentato l’intervento
al seminario Contarp rimandiamo brevemente, per avere altre informazioni sulla
prevenzione degli incidenti nell’uso delle casseforme rampanti, ad una nota interregionale
, dal titolo “
Casseforme rampanti”,
del 28 giugno 2010.
Nella nota interregionale si
segnala che l’impiego di questo sistema costruttivo vede la partecipazione di
più soggetti (progettista dell’opera edile, costruttore dell’attrezzatura,
eventuale noleggiatore, ditta esecutrice, maestranze chiamate ad allestire la
cassaforma). In particolare in questa sequenza di soggetti, che contribuiscono
alla costruzione del manufatto con casseforme rampanti, “é presente un elemento
critico rappresentato dalle maestranze che
allestiscono il sistema in
cantiere”. L’integrità del sistema, e quella dei colleghi che operano sulla
cassaforma, “é legata al corretto montaggio dell’attrezzatura. È
indispensabile, quindi, porre in essere quella specifica formazione
professionale che permetta alle maestranze, tipicamente di estrazione edile,
quali muratori e carpentieri per legno o ferro, di acquisire le competenze di
tipo ‘meccanico’, indispensabili per la corretta realizzazione e istallazione
delle casseforme”.
“ Infortuni, modelli organizzativi
e decisionali: un caso inerente la costruzione di viadotti”, a cura di M.
Frilli e F. Bolognesi (Uf Tav e Grandi Opere Ausl 10 Firenze), G. Quartararo
(Inail - Direzione Regionale Toscana – Avvocatura), D. Gilioni e E.
Mastrominico (Inail Direzione Regionale Toscana, Consulenza Tecnica Accertamento
Rischi e Prevenzione), intervento all’8° Seminario di aggiornamento dei
professionisti Contarp (formato PDF, 113 kB).
Regione Emilia Romagna, Regione
Toscana, “ Nota interregionale - Casseforme rampanti” del 28 giugno 2010,
relativa alla sicurezza nell’uso delle casseforme rampanti (formato PDF, 101
kB).
Tiziano Menduto
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