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"Dall'Ilva a Monfalcone morire per la busta paga"

fonte La Repubblica / Sicurezza sul lavoro

27/04/2010 - Perdere la salute. Ammalarsi. Morire per una busta paga. Il lavoro pu essere un calvario doloroso. Troppe volte nascosto, celato e negato. Alcune battaglie provano a rompere il silenzio e dare, almeno, lenimento.Alla fine di marzo di quest'anno, il gup del tribunale di Taranto Pompeo Carriere ha rinviato a giudizio 19 ex dirigenti dello stabilimento Ilvaperlamorte per cancro ditrentalavoratori. Unprimo, importantissimo, approdo per un'indagine che ha preso in analisi un periodo che va dagli anni 60 fino al 1995 di una delle pi granditragedieitalianedellavoro. Il dramma della diossina che ha sconvoltoTaranto chiama in causa il top management dell'industria siderurgica. «I capi d'imputazione - spiega Massimiliano Del Vecchio, avvocato della Fiom nazionale e coordinatore regionale dell'avvocatura dell'Inca Cigl - sono quelli del disastro ambientale, omicidio colposo plurimo aggravato da futili motivi determinati dal profitto e omissione colposa di cautela anti-infortunistica». Nel decreto del rinvio a giudizio l'aspetto economico viene, per la prima volta, ritenuto insignificante rispetto alla salute dei lavoratori. Il processo prova come il sindacato possa costituirsi, di per sé, parte civile lesa per il reato commesso ai danni dei lavoratori. Uomini e donne che hanno subìto ferite incalcolabili perché, come sostiene il pm Italo Pesiri, i dirigenti avrebbero omesso di informarli dei rischi che correvano. Il processo inizierà a giugno e Del Vecchio, oltre a ricordare come gli imputati siano innocenti fino a sentenza definitiva, spiega che si deve fare presto, non pi di un anno e mezzo, perché «altrimenti si rischia la prescrizione». Da un'altra parte d'Italia, lì dove un altro mare bagna un'altra costa, si è sofferto altrettanto. A Monfalcone, nella punta pi estrema del Friuli Venezia Giulia, c'è un'altra dolente storia di gente che ha dato la vita per costruire navi. Qui, l'amianto si stima abbia ucciso almeno novecento persone. 1110 dicembre 2009, al tribunale di Gorizia, è iniziato il processo per omicidio colposo dove sono imputati 21 ex dirigenti dei cantieri e il giudice monocratico Emanuela Bigattin lo ha unificato con un altro processo per decesso degli operai. Per molti lavoratori è stato già riconosciuto il legame tra l'esposizione all'amianto e le malattie. Ricevono un'indennità dall'Inail, ma è molto poco. L'Inca ha avviato da pochi mesi le richieste per il riconoscimento del danno differenziale, ovvero il risarcimento di quanto subìto a livello globale dallapersona. «A oggi - racconta Elena Novelli dell'Inca di Monfalcone - abbiamo avviato 420 procedure. L'obiettivo è quello di arrivare a tutelare almeno mille persone. Ne contattiamo tutti i giorni ed è un'esperienza molto dolorosa. Persone con la patologia delle placche pleuriche che sanno che da un momento all'altro, con una semplice influenza, si può scatenare l'inferno». Persone che hanno lavorato in Fincantieri, Ansaldo, l'Ente porto, la compagnia portuale, l'Enel ex Endesa, e tutte quelle piccole ditte private che ora non esistono più . «Sono persone - prosegue Novelli - che hanno respirato l'amianto per 40 anni, ora si sono ammalate e non hanno ricevuto niente». Meno drammatiche ma altrettanto importanti sono le storie di chi si trova ad affrontare malattie professionali senza che qualcuno glielo abbia mai detto. Nel distretto calzaturiero di Fermo nelle Marche si lavora, soprattutto donne, in grandi imprese ma anche in piccolissimi laboratori. Fanno tacchi, tomaie e cuciono. L'Incain collaborazione conlaFilteahadistribuito qualche centinaio di questionari e ha scoperto i primi casi di patologie. E bastato questo per fare più di cento denunce di malattia professionale di cui una sessantina già riconosciute dall'Inail. «Abbiamo riscontrato malattie muscolo-scheletriche - spiega Valerio Zanellato, coordinatore area danno alla persona di Inca Cgil - la gente è costretta a velocizzare troppo il lavoro e i movimenti con le mani, i gomiti e le spalle sono talmente tanti e tali che nel giro di pochi anni si pu attivare lapatologiainvalidante». Anche in questo caso il male che produce il lavoro pare dover superare un muro molto spesso. «Sorprende che siamo dovuti arrivare noi - lamenta Zanellato - con buona pace dell'Asl e soprattutto dei medici di base. Ci sono centinaia di medici che non solo verifica- vano queste tecnopatie. Ordinavano e prescrivevano le operazioni senzafare le segnalazioni di malattie professionali». La sensazione è che, in Italia, molto ancora ci sia da scoprire e da far sapere.

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