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"Molto meglio prevenire che curare"

fonte Italia Oggi, Fulvio Fornaro / Sicurezza sul lavoro

18/02/2011 - Molto meglio prevenire che curare», non è uno slogan generico valido in tutte le circostanze. Piuttosto è la traduzione dalla lingua latina del pensiero scientifico di Bernardino Ramazzini, fondatore della medicina del lavoro. Qui segnalata per averne fatto il perno della prevenzione, in grado di garantire incolumità fisica e capacità di salute. La evidenziamo, ancora una volta, su queste pagine autogestite dalla Sail, per esercitare la virtù del ricordo, superando la tentazione del disimpegno parlando di prevenzione nei luoghi di lavoro, la cui normativa nazionale non è solo quella contenuta nel recente Testo unico delle Leggi varato l'anno scorso dal parlamento. Si tratta di un percorso da seguire scrupolosamente, e con estremo rigore, nell'applicazione pratica. Anche se fuori dei confini nazionali, l'Italia è ritenuta allergica alle regole, contenute in un corpus juris, centrato su un tessuto industriale molteplice spalmato. sul territorio. Ciò nonostante, infortuni e tecnopatie, dal secolo scorso a oggi, continuano a occupare le cronache quotidiane di numeíosi giornali. Non mancano, a riguardo, esempi emblematici, poiché dall'inizio del nuovo decennio, gli infortuni e le malattie da lavoro risvegliano l'attenzione di un opinione pubblica che fatica a orientarsi nel ritrovare la forza di reagire; poiché i media (più di qualche volta) scivolano nella retorica di un fenomeno preoccupante. Che rischia di far perdere il nesso tra funzione conoscitiva e funzione etica, fino a generare un progressivo distacco da ciò che avviene nell'ambiente di vita e di lavoro. - Ci riferiamo, come esempio, al problema (tra gli altri) della diossina. Che, per effetto del tempo trascorso da Seveso ad oggi, è tornata a occupare un triste orizzonte identitario. Mentre la stampa si affretta a sottolineare che «non sussiste alcun allarmismo», tacitando la propria coscienza dicendo di «non abbassare la guardia». Più recentemente, in Abruzzo le cronache locali hanno posto l'accento sulle «pessime condizioni di lavoro nell'agricoltura»; un settore che ha registrato 39 morti. Per non parlare del conteggio degli incidenti mortali nello stabilimento Tyssen — Krupp», nel quale non si è esaurito «lo stillicidio dei decessi» e continua la lunga agonia degli infortunati. Fermiamo qui questa rassegna, certamente non esaustiva, sebbene i retori della sicurezza continuino a sostenere che le percentuali dei morti sul lavoro siano in calo. Una convinzione fuori misura, che non convince chi li ascolta. In particolare nel momento in cui costoro sono più interessati al patto pro-crescita (ineludibile data la crisi economica), senza però entrare nel merito della rischiosità del lavoro, riservando invece uno spazio esclusivo ai dati del pil. A conferma che l'azienda, da luogo di produzione di ricchezza, non riesce parimenti ad assicurare a tutti gli attori, che da lei dipendono, parametri accettabili di prevenzione. Apprezzabile l'ipotesi meritoria della partecipazione dei lavoratori alla gestione (e alla correlata responsabilità) dell'impresa, come innovazione nel rapporto tra capitale e lavoro, di cui la Sail ha iniziato ad occuparsi in linea con i primi segnali di rinnovamento culturale. Particolarmente per una sovrabbondanza di riferimenti organizzativi e contrattuali a favore dei protagonisti dell'attività produttiva. In questo senso, la Sail ne ha fatto un suo rinnovato impegno tecnico e professionale a garanzia di serietà verso committenti pubblici e privati.

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