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"Appello Thyssen. La parola alla difesa"

fonte www.insic.it / Responsabilità sociale

25/01/2013 - L'amministratore delegato della ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, e i due dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz sono da assolvere “perché il fatto non sussiste, per non avere commesso il fatto e perché il fatto non costituisce reato”.
Lo ha sostenuto, ieri, in conclusione della sua arringa nel processo d'appello in corso a Torino, l'avvocato Ezio Audisio, legale dei tre.
Si avvia così al termine la fase dibattimentale del processo che in primo grado si era concluso con la condanna dei sei imputati. Quella più pesante, 16 anni e mezzo, era stata inflitta proprio a Espenhahn, accusato dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso di omicidio volontario con dolo eventuale.

Secondo l'accusa, infatti, avrebbe accettato consapevolmente il rischio della morte degli operai senza fare nulla per evitarlo, in quanto lo stabilimento di Torino era destinato alla chiusura. Proprio questa ricostruzione è stata contestata duramente dai legali degli imputati e in particolare di Espenhahn, che durante l'arringa hanno chiesto l'annullamento dell'intero processo per la mancata traduzione di alcuni documenti dall'italiano al tedesco.
L'eccezione, già presentata per due volte durante il procedimento, era stata sempre respinta.

Ma anche se formalmente gli atti fossero tutti corretti, secondo gli avvocati l'imprenditore è da assolvere in quanto “non poteva conoscere completamente la situazione dello stabilimento di Torino”. “ L'amministratore delegato Espenhahn non poteva prevedere una sequenza causale di quei fatti, che fu del tutto anomala – ha argomentato Audisio – e non aveva neanche possibilità di impedirlo”.
Secondo l'avvocato Franco Coppi, altro legale dell'ad della ThyssenKrupp, “il dolo eventuale richiede la previsione in concreto dell'evento come probabile, cioè la morte degli operai: siamo ben al di là della semplice accettazione del rischio. Si sostiene che Espenhahn avrebbe agito sapendo che sarebbe successa quella tragedia. Ammettiamo anche che non gli interessasse Torino. Ma si può dire che preferì il profitto alla vita dei suoi dipendenti? Questo no”.

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