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"D.Lgs. 81/2008: il datore di lavoro e il principio di effettività"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

21/03/2013 - Per comprendere il principio di effettività va premesso, innanzitutto, che  è l’esercizio effettivo dell’impresa che consente di individuare la figura del datore di lavoro.
In applicazione di tale  principio di effettività, infatti, l’articolo 299 del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 (“ Esercizio di fatto di poteri direttivi”), inserito tra le disposizioni penali, ha esplicitato un principio da decenni affermato dalla giurisprudenza, prevedendo che le posizioni di garanzia relative a datore di lavoro, dirigente e preposto “gravano” in modo peculiare “su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura,  eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.
 
È interessante prendere in considerazione a tale proposito una pronuncia della Cassazione emanata a seguito di un infortunio mortale occorso ad un lavoratore in una cartiera a causa dell’organizzazione di un sistema di lavoro errato e di un ambiente di lavoro fortemente a rischio. A rischio “ sia per l’instabilità delle pesanti (ed ingombranti) balle di carta accumulate l’una sull’altra senza essere fissate al muro, in locali talvolta male illuminati ed inadeguati, sia per il sistema di accatastamento e prelevamento delle stesse, che non garantiva l’incolumità dei lavoratori”[Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 38428 del 22 novembre  2006].
 
La Corte d’Appello - in applicazione del  principio di effettività (art. 299, D.Lgs. n. 81/2008) - aveva individuato il datore di lavoro nel “ soggetto che  concretamente impartiva disposizioni ai lavoratori ed organizzava l’attività aziendale, [il che]  consentiva di indicarlo quale titolare della posizione di garanzia all’interno dell’azienda e dunque di responsabile dell’incolumità dei lavoratori”.
Nel qualificare l’imputato come soggetto titolare della posizione di garanzia all’interno della cartiera, la Cassazione ha confermato l’impostazione della Corte d’Appello, affermando che, al di là della qualificazione formale operata da quest’ultima (allorché aveva identificato l’imputato come amministratore unico dell’azienda, di cui era invece titolare ed amministratore la moglie), su quello incombeva l’obbligo di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori in virtù delle “ mansioni dirigenziali dallo stesso  in concreto ricoperte ed esercitate all’interno della stessa azienda, secondo quanto emerso dalle acquisizioni probatorie in atti”.
 
In particolare, l’imputato era stato indicato dalle dichiarazioni dei testi come “ il soggetto che dava le direttive ai dipendenti e che di fatto si comportava quale  effettivo titolare dell’azienda”.

Tale approccio è coerente con l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte secondo il quale “ in tema di infortuni sul lavoro, l’individuazione dei soggetti destinatari della relativa normativa [datore di lavoro, dirigente, preposto] deve essere operata sulla base dell’effettività e concretezza delle mansioni e dei ruoli svolti” [Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 6025 del 20 aprile 1989] e “ deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale)” [Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 9874 del 14 ottobre 1992], come a dire che la mansione concretamente esercitata prevale sulla qualifica formale e apparente.
 
La disposizione che individua come datore di lavoro non solo il titolare del rapporto di lavoro ma anche, in alternativa o anche in modo concorrente, il soggetto “ titolare dei poteri decisionali e di spesa”, recepisce la lunghissima elaborazione giurisprudenziale in materia, sviluppatasi a partire dal D.P.R. n. 547/1955 (ora abrogato), e trova applicazione in tutte quelle realtà aziendali complesse nelle quali il titolare del rapporto di lavoro non è il soggetto che ha la responsabilità concreta della gestione effettiva dell’azienda, o unità produttiva (o unità di servizio per la pubblica amministrazione).
 
Può dunque ben essere che in una medesima azienda, sotto un’unica ragione sociale, vi siano, ai fini della prevenzione infortuni e malattie professionali, due datori di lavoro responsabili di fronte alla legge quali principali soggetti obbligati, principali debitori di sicurezza nei confronti dei lavoratori. Ciò sempre però che questi soggetti dispongano dell’ adeguato potere direttivo, decisionale, gestionale e di spesa necessario per garantire lo svolgimento sicuro dell’attività lavorativa aziendale: queste condizioni devono risultare in modo netto e incontrovertibile da documenti aziendali aventi data certa, che attribuiscano esplicitamente i citati poteri e doveri.
Qualora questi poteri incontrino dei limiti, è chiaro che detto soggetto risponderà dell’adempimento dei propri doveri prevenzionistici esclusivamente nell’ambito così delimitato, oltre al quale risponderà il soggetto a lui gerarchicamente sovraordinato, nella linea gerarchica aziendale.
 
L’elevazione del criterio di effettività a cardine dell’intero sistema di responsabilità prevenzionistiche (art. 299 D.Lgs. n. 81/2008) conduce al pieno riconoscimento legislativo della legittimità di una delega di funzioni, che resta (sia ben chiaro) una facoltà, e non un obbligo, del delegante datore di lavoro, avente efficacia pienamente liberatoria, secondo la visione della teoria giuridica ‘funzionalistica’, e permette pure di risolvere l’annosa questione dell’imputazione delle responsabilità infortunistiche all’interno delle persone giuridiche.
In relazione alle società di capitali l’amministrazione della società può essere affidata ad un solo amministratore oppure ad un intero consiglio di amministrazione; quest’ultimo può a sua volta trasferire le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad un suo  membro, tramite l’ istituto della delega di cui all’art. 2381 codice civile.
Qualora il consiglio di amministrazione abbia distinto le competenze e investito espressamente il consigliere delegato dei compiti di amministratore delegato o presidente del consiglio di amministrazione, ad esempio, si realizza una corretta individuazione del datore di lavoro di cui all’articolo  2 c. 1 lett. b) del  Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81. Ma resta fermo il potere-dovere di controllo generale a carico del consiglio di amministrazione sul concreto espletamento delle funzioni assegnate.
 
L’identificazione del soggetto passivo dell’obbligazione di sicurezza quale datore di lavoro, ovvero soggetto obbligato in via principale, può dirsi compiuta tenendo presente la struttura effettiva dell’impresa e le mansioni esercitate (principio di effettività): e quindi va a gravare su quel soggetto  che è tenuto a compiere tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale, compresi quelli volti ad assicurare che l’opera dei lavoratori sia espletata nel rispetto delle norme sulla prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro.
 
Deve però precisarsi che la posizione del comitato esecutivo o dell’amministratore delegato, nei casi in cui l’assemblea o l’atto costitutivo consentano la delega a questi delle attribuzioni spettanti al consiglio di amministrazione, non può essere definita a priori, a seguito della indeterminatezza della sfera di competenze dell’ organo delegato, che può vedersi riconosciuti poteri di contenuto oscillante tra la mera esecuzione delle decisioni consiliari (nel qual caso la qualità di datore d lavoro di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008 resta in carico all’intero consiglio di amministrazione), da un lato, e al contrario la diretta titolarità di proprie prerogative gestionali, dall’altro.
 
Più in generale va detto che per  individuare i garanti dell’obbligazione di sicurezza non si può che appuntare l’attenzione sul contenuto delle competenze concretamente conferite ai soggetti eventualmente  delegati, ai quali la titolarità passiva dell’obbligazione di sicurezza può essere dunque imputata nella misura in cui ad essi spetti l’esercizio dei poteri di gestione necessari per conformare l’organizzazione dell’impresa agli imperativi legali.
In questo senso la Suprema Corte “ reputa che si debba privilegiare la ‘ personalizzazione’ della responsabilità, riconoscendo la legittimità della delega e l’autonomia dei poteri-doveri del delegato: all’applicazione della pena non può pervenirsi in base a situazioni puramente formali, essendo fondamentale principio costituzionale, quello secondo cui ognuno deve essere punito soltanto se abbia coscientemente partecipato alla commissione dell’illecito” [Cass. Pen., sent. n. 5242 del 27 maggio 1996, Zanoni e altri].
 

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