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"La non responsabilità del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza"

fonte www.puntosicuro.it / Normativa

02/12/2013 -
Cassazione Penale Sezione feriale - Sentenza n. 35424 del 22 agosto 2013 (u. p. 9 agosto 2013) -  Pres. Franco – Est. Lignola – P.M. Lettieri - Ric. C. A.
  
Commento a cura di G. Porreca
 
Si esprime in questa sentenza la Corte di Cassazione in merito alla  responsabilità di un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nel caso di un infortunio sul lavoro allo stesso occorso escludendo l’esistenza della responsabilità stessa contrariamente a quanto richiesto dal suo datore di lavoro secondo il quale, essendo il dipendente infortunato particolarmente esperto in materia di salute e di sicurezza sul lavoro nella sua qualità appunto di  rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, avrebbe dovuto rifiutare il lavoro e pretendere le opere provvisionali necessarie per poterlo svolgere in sicurezza. Lo stesso invece al contrario aveva concordata con lui la scelta della protezione contro il rischio di caduta dall’alto che è risultata poi inidonea e che ha portato all’evento infortunistico. La suprema Corte nella circostanza non ha individuato nella condotta del RLS un  comportamento abnorme, anomalo, imprevedibile e che ragionevolmente non potesse farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro e tale quindi da interrompere il nesso causale.

Il caso
 
La Corte d'Appello ha confermata integralmente la decisione del Tribunale con la quale il datore di lavoro di un’impresa era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di lesioni colpose, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a seguito di un infortunio occorso ad un suo dipendente precipitato al suolo, da una altezza di circa 4-5 m, a causa della rottura di una tettoia in eternit, mentre tentava di eseguire dei lavori di riparazione del tetto dei locali di una cascina, infortunio avvenuto per la mancanza di opere provvisionali che consentissero l’effettuazione dei lavori in condizioni di sicurezza.
 
Il Tribunale aveva accertato che unico responsabile per la sicurezza all'interno dell'azienda doveva ritenersi il datore di lavoro, legale rappresentante della stessa, oltretutto presente nella sede al momento dell'infortunio. Il giudice aveva fondata la colpa dell'imprenditore sulla violazione dell’art. 10 del D.P.R. n. 164 del 1956, vigente all'epoca, secondo il quale nei lavori presso gronde e cornicioni, sui tetti e nei lavori analoghi che comunque espongano a rischi di caduta dall'alto o entro cavità, quando non sia possibile disporre impalcati di protezione o parapetti, gli operai addetti devono far uso di idonea cintura di sicurezza con bretelle collegate a fune di trattenuta.
 
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
 
Contro la sentenza del Tribunale l’imputato ha proposto ricorso per cassazione adducendo alcune motivazioni. Lo stesso, in particolare, ha fatto osservare che il testo normativo del D.P.R. n. 164/1956 prevede sanzioni penali anche a carico del lavoratore che non ottempera all'obbligo di utilizzare sistemi di sicurezza e che con il rappresentante dei lavoratori aveva valutato che l'unico ponteggio idoneo fosse quello concretamente realizzato, con le assi di legno poggiate sul tetto fino al punto di intervento prossimo alla sommità ed aveva, altresì, escluso l’uso di cinture di sicurezza a protezione dalla caduta perché reputate inutili in quanto impossibili da ancorare al tetto. L’imputato ha pertanto lamentato  che per l’accaduto fosse stato escluso dalla Corte di Appello il concorso di colpa del lavoratore, nella causazione dell'evento, sebbene egli avesse concorso alla predisposizione dei sistemi di sicurezza e sebbene fosse un profondo conoscitore dei sistemi di prevenzione degli infortuni. Secondo il ricorrente, anzi, il lavoratore, nel caso di mancata predisposizione di adeguate cautele, avrebbe dovuto rifiutare di eseguire il lavoro.
 
Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione infondato. In merito alla scelta del sistema più idoneo di protezione dalla caduta dall’alto la Corte suprema ha posto in evidenza che la stessa non entra nel merito delle scelte e della dinamica degli eventi né può procedere ad una ricostruzione alternativa dei fatti sovrapponendosi all’operato dei giudici di merito specie se, come nel caso in esame, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello si presentano concordanti, congrue e logiche. Per quanto riguarda poi la motivazione basata sulla colpa del lavoratore da valutare quanto meno ai fini di una graduazione della colpa del datore di lavoro, la Sezione feriale della Corte di Cassazione ha ritenuta infondata la censura. “ La responsabilità del datore di lavoro non è esclusa”, ha infatti precisato , “dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio. Ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicché il datore di lavoro è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore. Per l'effetto, la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale, espresso dall'art. 41 c.p., comma 1”.
 
Per interrompere il nesso causale”, ha quindi proseguito la Sezione feriale, “ occorre, comunque, un comportamento del lavoratore che sia ‘anomalo’ ed ‘imprevedibile’ e, come tale, ‘inevitabile’; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell'obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro” ed ha ricordato altresì che “ per escludere la responsabilità del datore di lavoro occorre un comportamento del lavoratore definibile come ‘abnorme’, che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro”. “ Come ipotesi tipiche di interruzione del nesso causale per effetto di condotta colposa del lavoratore”, ha quindi sostenuto la suprema Corte, “ sono indicate quella del lavoratore che violi ‘con consapevolezza’ le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare; quella del lavoratore che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando in tal modo un comportamento ‘esorbitante’ rispetto al lavoro che gli è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro”.
 
E’ evidente, ha quindi concluso la Corte di Cassazione, che il caso in esame sia del tutto diverso da quelli sopraindicati in quanto il lavoratore infortunato non ha tenuto alcun comportamento abnorme in fase di esecuzione del lavoro poiché è caduto appoggiando un piede al di fuori della tavola di legno per recuperare un martello tenendo una condotta assolutamente prevedibile ed ordinaria. “ Né può essere invocata la responsabilità del lavoratore in fase di predisposizione dei sistemi di sicurezza, per la sua supposta qualifica di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”, ha ancora aggiunto la suprema Corte, essendo emerso fra l’altro, sia nella sentenza di primo grado che in quella di appello, che il lavoratore era stato nominato rappresentante dei lavoratori per la sicurezza per un periodo di tre anni già scaduti all'epoca dell'infortunio per cui al momento dell’evento non era più RLS.
 
Correttamente, quindi, e con motivazione logica ed adeguata i giudici di merito avevano escluso che la condotta del lavoratore, priva di caratteri di eccezionalità o abnormità, potesse essere presa in considerazione anche ai soli fini di un concorso di colpa nella causazione dell'evento lesivo.
 
 
 

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