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"Sulla responsabilità del datore di lavoro per infortunio di un estraneo"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
16/12/2013 -
Commento a cura di G. Porreca.
E’ un
insegnamento quello che discende da questa sentenza della Corte di Cassazione
che può essere utile per quelle organizzazioni di lavoro che consentono di
frequentare gli ambienti destinati all’attività lavorativa a persone
estranee all’organizzazione stessa. Il datore di lavoro di un’azienda, sostiene la suprema Corte, può
rispondere anche per un infortunio che dovesse accadere nel luogo di lavoro ad
una persona estranea alla organizzazione. Perché
si configuri un profilo di colpa, ha precisato la stessa Corte, non occorre che
vi sia la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro ma è sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a
causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti ai fini
della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore.
Il fatto
La Corte d'Appello ha confermata la sentenza pronunciata
dal Tribunale che aveva affermato la penale responsabilità del legale
rappresentante di una società amministratrice di uno stabile, sede di alcuni
uffici del Comune, in ordine al reato di cui all'art. 590 comma 3, in relazione
all'art. 8 comma 9 del D.P.R. n. 547 del 1955. Al legale rappresentante era
stato contestato il suddetto reato poiché per colpa consistita in negligenza,
imprudenza, imperizia e violazione della normativa di prevenzione degli
infortuni sul lavoro per non aver segnalato e comunque disposto la segnalazione
della presenza sul pianerottolo del primo piano, nelle immediate
dell'ascensore, di un dislivello del pavimento di circa 8 cm costituente
ingombro con p ericolo di
caduta di persone, aveva
cagionato ad una dipendente del Comune lesioni personali gravi. In particolare
era successo che la dipendente del Comune si era recata, unitamente ad una
collega, nell'immobile di cui era amministratrice l'imputata per portare dei
fascicoli in un ufficio ivi ubicato. La stessa aveva preso insieme alla collega l'ascensore e,
uscendo, era caduta in quanto non si era accorta che, immediatamente dopo la
porta dell'ascensore, c'era un gradino che non era segnalato e dello stesso
colore grigio del pavimento. A seguito della predetta caduta la dipendente aveva riportato la frattura articolare
scomposta dell'epifisi distale del radio dx con prognosi iniziale di trenta
giorni, poi elevati a sessanta.
Il ricorso
alla Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso la decisione della Corte di Appello il legale
rappresentante della società amministratrice dello stabile ha proposto ricorso
a mezzo del proprio difensore deducendo fra l’altro la erronea applicazione
della legge penale con riguardo alla condotta colposa prevista e punita dalla
norma incriminatrice e la mancata rimproverabilità della stessa a lei imputata.
La stessa ha posto in evidenza che, essendo priva di adeguate competenze tecniche,
si era rivolta ad un professionista che aveva omesso di segnalare il dislivello
quale fonte di pericolo, non imponendo, conseguentemente, alcuna prescrizione.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso facendo
presente sul punto che entrambe le sentenze di merito avevano sottolineato come
circa un anno prima dell'episodio la stessa dipendente aveva segnalato
all’imputata l'esistenza e la pericolosità dell'avvallamento per cui la stessa
era pienamente a conoscenza della possibile insidia e le incombeva pertanto, in
considerazione della posizione rivestita, il dovere di attivarsi (come poi
successivamente avvenuto dopo il verificarsi dell'episodio) per eliminarla o
comunque per segnalare opportunamente il dislivello agli utenti dell'ascensore.
In merito alla osservazione avanzata dall’imputata
secondo cui erroneamente sarebbe stata contestata la violazione delle norme di
prevenzione degli infortuni sul lavoro nonostante l’infortunata non fosse una sua dipendente ma del Comune
presso i cui uffici si stava recando per ragioni di servizio, la suprema Corte
ha ricordato che “
in caso di lesioni o di
omicidio colposo, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con
violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è
necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento
dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia
ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati
dagli artt. 40 e 41 c.p.”. In tale evenienza si ravvisa l'aggravante di cui
all'art. 590 c.p., comma 3 “
anche nel
caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro,
purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non
abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere
interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante”.
“
Non occorre che vi
sia la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro” ha quindi precisato la Sez. IV, “
essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa
dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti ai fini della più
efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore” ed ha quindi concluso
che non ha nessuna importanza che l'imputata non era il datore di lavoro della
infortunata giacché “
il principio cautelare ha una valenza
generale ed inderogabile, tale da imporsi nell'interesse di tutti, finanche
degli estranei al rapporto di lavoro, a prescindere, quindi, da un rapporto di
dipendenza diretta con il titolare dell'impresa”.
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