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"La libertà e la ragionevolezza nella formazione "

fonte www.puntosicuro.it / Formazione ed informazione

03/04/2014 - Sempre più spesso leggo commenti un poco oscurantisti che cercano di frenare in modo inappropriato l'inevitabile sviluppo della  formazione on line, e-learning e Fad con argomenti burocratici che manifestano una sostanziale indifferenza per i principi di libertà previsti dalla Costituzione, per il criterio di ragionevolezza e per la produttività aziendale (che in Italia è molto bassa), in nome della difesa di una formazione in aula costosa e spesso non sufficientemente qualificata.
La « sfera generale di libertà» dei «singoli» e delle «comunità amministrate», è tutelata dall’articolo 23 Costituzione laddove prevede che « nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Quindi è vietato imporre modalità di erogazione della formazione costose e patrimonialmente rilevanti se questo non è previsto dalla legge.
Secondo la Corte Costituzionale, 115/2011, l’imposizione di obblighi di non fare (divieti) « rientra ugualmente nel concetto di ‘prestazione’», poiché risulta « anch’essa restrittiva della libertà dei cittadini». Quindi o i divieti sono espliciti, in quanto formulati dalla legge, o se manca la legge che vieta, il comportamento è automaticamente lecito e non esiste il divieto.  Ciò che non è vietato dalla legge è dunque lecito e sempre consentito.

Inoltre la libertà imprenditoriale non può essere limitata se non in forza di legge. Secondo l'articolo 41 della Costituzione: “ l'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità ; sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Nell'ordinamento giuridico italiano, a partire dalla Costituzione, vige il principio secondo cui in ambito economico «è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge», segue l’indicazione che il legislatore statale o regionale può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire, tra l’altro – oltre che il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica – in particolare la tutela della sicurezza, della libertà, della dignità umana, a presidio dell’utilità sociale di ogni attività economica, come l’art. 41 Cost. richiede (Corte Costituzionale, sentenza n. 200 del 2012).
 
La possibilità della formazione a distanza degli operatori di sicurezza è affatto stata introdotta per la prima volta in Italia con l’ Accordo sulla formazione dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP) e degli addetti a tali servizi (ASPP), raggiunto nella seduta del 26/1/2006 della Conferenza Stato Regioni.
È vero esattamente il contrario: prima di quel momento si poteva fare per ogni attività formativa FAD, e solo da quel momento per la prima volta si è posto un limite prima inesistente per la FAD, regolamentandola in modo restrittivo, e ammettendola, per quel che riguarda il solo ambito dei corsi Rspp e Aspp, per i soli corsi di aggiornamento, avendo stabilito che gli stessi potessero essere svolti anche con modalità di formazione a distanza pur non avendo indicato però delle precise condizioni alle quali tali corsi di aggiornamento si sarebbero dovuti attenere.
 
Non è vero che la formazione con la modalità e-learning è stata in realtà introdotta ufficialmente e regolamentata solo nel 2011 e precisamente nell’ambito degli Accordi della Conferenza Stato-Regioni del 21/12/2011 relativi alla formazione dei datori di lavoro che hanno optato per lo svolgimento diretto dei compiti del servizio di prevenzione e protezione e dei lavoratori, dirigenti e preposti. E’ vero il contrario. Prima di tale accordo l’e-learning era, per tali soggetti, liberamente somministrabile, solo dopo tali accordi - con l’Allegato I di tali Accordi - infatti sono state individuate condizioni limitative alla presenza delle quali è stata subordinata la validità della modalità di formazione e-learning, che per di più è stata in ogni caso consentita dall’Accordo stesso solo per lo svolgimento di alcuni dei moduli di formazione e di aggiornamento.
 
Nella sentenza 115/2011 del 04/04/2011 - è evidente l’adesione della Corte Costituzionale alla concezione dottrinale secondo la quale il nostro ordinamento è improntato, dal punto di vista dei singoli, al principio di libertà e, dal punto di vista dell’amministrazione, al principio di legalità: secondo tale concezione, per gli individui «tutto ciò che non è espressamente vietato è (dalla legge) implicitamente permesso» (principio di libertà); invece, «per l’amministrazione vale il principio opposto: tutto ciò che non è (dalla legge) espressamente autorizzato è (dalla legge) implicitamente vietato» (principio di legalità).
 
Riccardo Guastini, nel libro “ Le fonti del diritto”, individua due distinte condizioni di validità dell’atto amministrativo:
a) “per un verso, deve essere fondato su una norma (costitutiva) attributiva di potere;
b) per altro verso, deve essere conforme alle norme (regolative) che ne disciplinano la forma e il contenuto”.
Secondo G. Falcon, “ Lezioni di diritto amministrativo” (Padova, 2009) «gli speciali poteri il cui esercizio si traduca in una limitazione delle libertà o in una restrizione del patrimonio dei destinatari debbono avere un fondamento legislativo».
Questo però vale solo per la pubblica amministrazione, ovvero che ciò che non è permesso è vietato, per i privati vale il principio opposto, quel che non è vietato è consentito.
 
In tal senso sono fondamentali gli articoli 23 e 41 della Costituzione sui principi di libertà che valgono per tutti i cittadini. Insomma senza i fondamentali del diritto si rischia di fornire pareri profondamente errati e fuorvianti.
E dire che la formazione dei formatori effettuata in modalità e-learning non è consentita è affermazione giuridicamente priva di ogni fondamento, posto che non esiste alcuna legge che la vieta, e ricavare da principi generali inesistenti un divieto imporrebbe oneri economici per fare la formazione in aula ingiustificati e immotivati, in termini legali.
 
 
 
Rolando Dubini, avvocato in Milano e consigliere nazionale Aias
 

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