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"DPI: obbligo di manutenzione e igiene"
fonte www.puntosicuro.it / D.P.I.
25/01/2016 -
Pubblichiamo l’articolo “L’obbligo per i datori di lavoro di provvedere
alla manutenzione ed all’igiene dei DPI: il caso dei calzaturifici” a cura
della Dott.ssa Lisanna Billeri e del Dott. Gianfranco Bianucci - Tecnici della
prevenzione - Unità Funzionale Prevenzione Igiene e Sicurezza nei Luoghi di
Lavoro, Az. USL 3 Pistoia.
L’obbligo per i datori di lavoro di provvedere alla manutenzione ed
all’igiene dei DPI: il caso dei calzaturifici
L’industria calzaturiera è stata
associata al rischio cancerogeno da molto tempo e nel volume n 25 (1983) delle
monografie IARC è riportato come l’incidenza del tumore nasale sia maggiore
negli addetti dell’industria calzaturiera rispetto alla popolazione generale.
Da studi epidemiologici eseguiti nell’ultimo trentennio è emerso che le polveri
di cuoio sono responsabili dell’insorgenza di manifestazioni
tumorali delle fosse nasali e dei seni paranasali, e quindi da considerarsi
agenti cancerogeni. Molti studi hanno evidenziato infatti che questi tumori
maligni di origine epiteliale, relativamente rari in assoluto, compaiono con
maggiore frequenza negli addetti all’industria calzaturiera, in particolare agli
addetti alle operazioni più polverose in riferimento alle polveri di cuoio,
quali scarnitura, smerigliatura, cardatura, fresatura, levigatura,
carteggiatura di calzature finite o di altri manufatti in cuoio. Non è stato
dimostrato in quali momenti del ciclo di lavoro fosse evidente una sostanza cui
attribuire l’aumento del rischio cancerogeno, con l’eccezione di un’evidente
correlazione tra aumento della polverosità e conseguente aumento dei casi di tumore
naso sinusale.
Agenti sospettati di
cancerogenicità sono: una o più frazioni dei componenti organici dei pellami,
virus o altri agenti biologici che possono contaminare i pellami, il cromo
esavalente residuato dalle operazioni di concia o derivato da pigmenti usati
per la colorazione dei pellami, una o più frazioni di tannini vegetali
residuati dalle operazioni di concia, i componenti triazonici donatori di
formaldeide e/o la formaldeide tal quale residuata da trattamenti conservativi.
Altri studi, analizzando il rischio di tumore vescicale e di tumore polmonare,
hanno evidenziato un rischio aumentato per i lavoratori del settore.
I coloranti organici a base
azoica presenti in numerosi materiali utilizzati per la produzione calzaturiera,
o presenti nei prodotti di finissaggio e guarnitura, così come le ammine aromatiche
impiegate come antiossidanti nella gomma, sono tra i prodotti ipotizzati come responsabili
di casi di tumore vescicale. Lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul
Cancro) nel 1987, ha inserito “la lavorazione e la riparazione di scarpe e
stivali” nel Gruppo 1 (circostanza di esposizione considerata cancerogena per
l’uomo). (dati ripresi da Piero Emanuele Cirla “Polveri di cuoio ed effetti
cancerogeni” ) – [Med Lav Erg 2012; 34:1, 19-23]
In relazione alle disposizioni
specifiche contenute nel Titolo IX “Sostanze pericolose” del D.Lgs 81/2008, il
riferimento attuale per le polveri di cuoio è il Capo I “Protezione da agenti
chimici”. Infatti, le polveri di cuoio non sono classificate e non rispondono
ai criteri di classificazione quali categorie cancerogene 1 o 2 dell’Unione Europea,
né l’attività calzaturiera è ricompresa nell’allegato XLII.
Tuttavia, i tumori delle cavità
nasali ed i tumori dei seni paranasali in lavoratori addetti alla “Fabbricazione
e riparazione delle calzature” sono malattie la cui denuncia è obbligatoria ai
sensi e per gli effetti dell’articolo 139 del D.P.R. 1124/1965 e successive modificazioni
ed integrazioni: infatti nel D.M. 14 gennaio 2008 sono compresi nella Lista I “Malattie
la cui origine lavorativa è di elevata probabilità” (Gruppo 6 - punto 28). Nel
D.M. 9 aprile 2008 “Nuove tabelle delle malattie
professionali nell’industria e nell’agricoltura”, gli stessi tumori delle
cavità nasali e dei seni paranasali sono inseriti alla voce 68 “Malattie neoplastiche
causate da polveri di cuoio” - “Lavori che espongono a polveri di cuoio”, attribuendo
un ruolo causale netto alle polveri di cuoio. Ciò detto in applicazione
dell’art. 225 comma 1 lettera c) del D.Lgs 81/08 e s.m.i.
Articolo 225 - Misure specifiche di
protezione e di prevenzione
1. Il datore di lavoro, sulla base
dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo
223, provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la
sostituzione, qualora la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti o
processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la
salute dei lavoratori. Quando la natura dell’attività non consente di
eliminare il rischio attraverso la sostituzione il datore di lavoro
garantisce che il rischio sia ridotto mediante l’applicazione delle seguenti
misure da adottarsi nel seguente ordine di priorità:
a) progettazione di appropriati
processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e
materiali
adeguati;
b) appropriate misure organizzative e
di protezione collettive alla fonte del rischio;
c) misure di protezione individuali,
compresi i dispositivi di protezione individuali, qualora non si riesca a
prevenire con altri mezzi l’esposizione;
d) sorveglianza sanitaria dei
lavoratori a norma degli articoli 229 e 230.
Essendo, secondo le attuali
evidenze scientifiche, il rischio elevato e non potendo ridurre mediante la
sostituzione, o eliminare l’esposizione a polveri di cuoio, devono essere applicate
le misure di protezione personale.
Dalla giurisprudenza
Ministero
del lavoro e della previdenza sociale
Circolare
n.34 del 29 aprile 1999
Oggetto:
Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale.
Considerati
alcuni dubbi sorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati
ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei
lavoratori, si ritiene opportuno richiamare l'attenzione sul complesso della
pertinente legislazione prevenzionistica ai fini della sua corretta e
puntuale applicazione.
Gli
indumenti di lavoro, possono assolvere a varie funzioni:
a)
elemento
distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divisa;
b) mera preservazione degli abiti civili
dalla ordinaria usura connessa all'espletamento della attività lavorativa;
c) protezione da rischi per la salute e
la sicurezza.
In
tale ultimo caso, tali indumenti, rientrano tra i dispositivi di sicurezza
che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell'art.40
del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626. Rientrano, ad esempio, tra
i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che
segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di
protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il
contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici,
ecc.
Normali
abiti da lavoro non sono scelti in funzione di rischi specifici e misurabili, ed
hanno meramente una funzione di immagine (divise). Laddove la loro funzione è protettiva
rispetto all’esposizione a residui di lavorazione, polvere, microscorie che potrebbero
accompagnare l’abito per un periodo di tempo indeterminato, finendo probabilmente
nelle lavatrici domestiche e creando, così, situazioni di contatto, accumulo o
contaminazione crociata indesiderabili, gli indumenti sono da considerarsi DPI
e i datori di lavoro hanno l’obbligo di farsi carico della loro pulizia.
[da “linee guida per la prevenzione
degli specifici rischi derivanti da non idonea manutenzione e lavaggio degli
indumenti DPI, al fine di garantirne nel tempo i requisiti tecnici di
protezione per i lavoratori” (art. 1, Decreto dirigenziale Ministero della
Salute - Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione - Direzione
Generale della Prevenzione Sanitaria, 5 febbraio 2007)].
Tale
comportamento di tipo precauzionale vale a maggior ragione nel caso delle
polveri di cuoio, dove sussiste evidenza scientifica di cancerogenicità.
Cassazione 5 novembre 1998, n. 11139
“L'idoneità
degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a
disposizione dei lavoratori deve sussistere non solo nel momento della consegna
degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della
prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela
della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32
Cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella
concreta fattispecie, é quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni”.
“Ne
consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti
in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro,
quale destinatario dell’obbligo di protezione”.
La
giurisprudenza successiva di merito e di legittimità si è uniformata a questo
principio.
L’obbligo
riguarda soltanto i DPI in quanto finalizzati alla protezione della
salute/sicurezza del lavoratore che li indossa.
Sempre dalla Circolare
34/1999
Ciò vale ovviamente anche per gli indumenti di lavoro che
assumano la caratteristica di dispositivi personali di protezione. A tale
scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia
stabilendone la periodicità. Detta pulizia può essere effettuata sia
direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne
specializzate; la scelta ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro.
In via generale, qualora gli indumenti sono o possano
essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che
si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro
dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione e il trattamento
di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare
le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo; se
viceversa, si sceglie un'impresa esterna, il datore di lavoro, come già
ricordato, responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di
tali D.P.I., efficienza che un'errata pulizia potrebbe pregiudicare, deve
preventivamente assicurarsi che l'impresa stessa abbia requisiti tecnici
professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano
consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione
esterna.
Il datore di lavoro inoltre, dal momento che è tenuto, ai
sensi dell'art.4, comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994,
n.626, ad assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure
tecniche adottate (uso dei DPI) possono causare rischi per la salute della
popolazione, fra cui rientra, a questi fini, il lavoratore esterno, deve
provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura
dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla
loro entità.
Dai
dati di vigilanza nel territorio dell’Az. USL 3 Pistoia è emerso che nessun
datore di lavoro di nessuna ditta del comparto calzaturiero si occupava, prima
della contestazione della violazione dell’art. 77 comma 4 lettera a) del D.Lgs
81/08 e s.m.i., dell’igienizzazione dei DPI (camici, grembiuli ecc..).
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