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"Su quando deve considerarsi concluso un cantiere temporaneo o mobile"

fonte www.puntosicuro.it / Sentenze

18/07/2016 -

Si è già espressa in passato la Corte di Cassazione su quando, ai fini dell’attività del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, deve considerarsi concluso un cantiere edile e lo ha fatto con la sentenza n. 3809 del 27/1/2015 della IV Sezione penale. Lo stesso concetto viene ribadito ora in questa sentenza nella quale la Corte suprema ha avuto modo di precisare che un cantiere non è da considerarsi concluso soltanto perché sono terminate le opere edili in senso stretto, ponendosi tale interpretazione in contrasto con la pluralità delle attività che sono ancora in corso allo stesso funzionali e da coordinare. La legge, ha chiarito meglio la sprema Corte, non autorizza a ritenere che il cantiere temporaneo o mobile sia concluso, e che quindi sia da considerare conseguentemente esaurita la posizione di garanzia del committente e del coordinatore per l'esecuzione allorché siano terminate le opere edili in senso stretto, ma quando cessa l’esigenza di coordinare le diverse altre attività lavorative necessarie a consentire la completa esecuzione dell'opera.



La Corte suprema ha altresì fornito un utile indirizzo sulla connotazione di un cantiere edile sostenendo che l'esecuzione di lavori edili o di ingegneria civile giova ad individuare un  cantiere temporaneo o mobile in ragione del tipo di attività che in esso si svolge ma non è sufficiente a definire anche i limiti spazio-temporali del cantiere stesso correlati diversamente al perfezionamento di tutte le fasi di lavorazione, anche successive ai lavori edili o di ingegneria civile in senso stretto, funzionali al collaudo ed alla consegna dell'opera.

 

Il fatto e la sentenza del GUP

Il Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di un committente di un’opera edile e del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dallo stesso designato per non aver commesso il fatto loro contestato e relativo al reato di cui all'art.589, comma 2, c.p. per il decesso di un operaio della impresa esecutrice a seguito di una caduta dall’alto. Al committente era stato contestato di avere omesso di verificare l'adempimento, da parte del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, degli obblighi relativi all'applicazione delle disposizioni sulla sicurezza previste dal piano di sicurezza e coordinamento (PSC) e di vigilare sulla sua presenza in cantiere. E’ stato contestato, inoltre, di non avere assolto ad alcune rilevanti incombenze e cioè per non avere verificato la validità temporale del Durc dell’impresa affidataria allegata alla comunicazione d'inizio lavori e per non avere eccepito alcunché sulla validità del contratto di subappalto intercorso con una ditta subappaltatrice, sebbene ne avesse avuto la contezza per averlo preventivamente autorizzato, in quanto viziato, nella sua genesi, dalla mancata specificazione dei costi relativi alla sicurezza ex art. 26, comma 5, del D. Lgs. n. 81/2008 e, come tale da ritenersi nullo ai sensi dell'art. 1418 del codice civile e quindi improduttivo di effetti ab origine. Al coordinatore per l’esecuzione era stato contestato invece di avere omesso di ottemperare alle incombenze a lui prescritte dall'articolo 92, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2008.

 

Il ricorso in Cassazione e le motivazioni

Avverso la sentenza del GUP hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello nonché, a mezzo dei propri difensori, le parti civili  lamentando vizi motivazionali in relazione alle posizioni dei due prosciolti. Gli stessi hanno sostenuto che al momento del sinistro, il cantiere non poteva assolutamente dirsi chiuso, come acriticamente sostenuto in sentenza, in quanto erano in corso una serie di attività, quale ad esempio lo "scassero" delle forme utilizzate per i pilastri di cemento armato, benché i lavori di carpenteria, questi sì, fossero stati ultimati. Hanno messo in evidenza, altresì, che il GUP non aveva tenuto conto delle decisioni prese dalla Sezione IV della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3809 del 27/1/2015 in merito a quando si deve ritenere concluso un cantiere. Secondo il D. Lgs. n. 81/2008, hanno ancora messo in evidenza, il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione redige, al termine dei lavori e previo accordo con il direttore dei lavori, il verbale di fine opere di sua competenza e lo sottopone alla firma del committente e/o del responsabile dei lavori ed all'impresa affidataria. Tale verbale, che comunque non risulta agli atti, è da qualificare quale conclusione dell'incarico.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

I motivi dei ricorsi sono stati ritenuti dalla Corte di Cassazione fondati. Secondo la stessa il GUP aveva sostanzialmente fornito un giudizio di non attribuibilità di colpa ai prevenuti per i comportamenti tenuti nell'accaduto, senza sottolineare, invece, adeguatamente le ragioni per cui il successivo giudizio dibattimentale non potesse consentire ulteriori approfondimenti tecnici e soprattutto diverse valutazioni dell'accadimento. Con riferimento, in particolare, all’attività del coordinatore per l’esecuzione dei lavori la Corte suprema ha ricordato che i compiti e la funzione normativamente attribuiti alla posizione di garanzia di tale figura risalgono all'entrata in vigore del D. Lgs. 14/8/1996 n. 494 (di attuazione della Direttiva 92/57/CEE), nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili,  a fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento, altrimenti su di lui ricadenti, implicanti particolari competenze tecniche.

 

Ha ribadito altresì la Sez. IV che, secondo il D. Lgs. n. 81/2008, per cantiere temporaneo o mobile si deve intendere qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile, ossia qualunque luogo in cui si effettuano lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, di trasformazione, rinnovamento o smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le parti strutturali delle linee elettriche e le parti strutturali degli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, marittime, idroelettriche e, solo per la parte che comporta lavori edili o di ingegneria civile, le opere di bonifica, di sistemazione forestale e di sterro nonché gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile. 

 

Come è evidente, quindi, ha proseguito la Sez. IV, “ la lettera della legge non autorizza a ritenere che il cantiere temporaneo o mobile debba considerarsi concluso, e che sia correlativamente esaurita la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione e del committente, allorché siano terminate le opere edili in senso stretto, ponendosi tale interpretazione in contrasto tanto con la pluralità delle lavorazioni che, ordinariamente, afferiscono ai cantieri in cui si eseguono lavori edili, e che sono agli stessi funzionali, quanto con la necessità di garantire la massima sicurezza dei lavoratori legata al coordinamento delle diverse attività lavorative per tutto il tempo necessario a consentire la completa esecuzione dell'opera, ancorché i lavori edili in senso stretto siano stati terminati in un momento antecedente”.

 

Ciò che mantiene operante la posizione di garanzia del coordinatore per l'esecuzione e del committente, ha ancora precisato la Corte di Cassazione, non può essere tanto il mancato completamento delle attività inerenti ai lavori edili o di ingegneria civile propriamente detti, quanto piuttosto la persistenza di ulteriori fasi di lavorazione proprie dell'attività di cantiere nel suo complesso. “ L'esecuzione di lavori edili o di ingegneria civile”, ha così concluso la suprema Corte, “ giova, in altre parole, a connotare, in ragione del tipo di attività che ivi si svolge, il cantiere temporaneo o mobile, ma non è sufficiente a definire anche i limiti spaziotemporali di tale cantiere, diversamente correlati al perfezionamento di tutte le fasi di lavorazione, anche successive ai lavori edili o di ingegneria civile in senso stretto, funzionali al collaudo ed alla consegna dell'opera”..

 

Per quanto sopra detto la Corte suprema ha in definitiva giudicata erronea la formula di proscioglimento adottata dal GUP precisando che la vicenda avrebbe richiesto, in sede di udienza preliminare, una delibazione complessiva più esaustiva del fatto materiale e del comportamento dei singoli indagati, sempre nella prospettiva di formulare una corretta prognosi di possibile evoluzione del materiale probatorio in sede dibattimentale sia di per sé come entità di elementi di prova ancora acquisibili ovvero come possibilità di rivalutazione degli elementi già in atti. Ha quindi annullata la sentenza di condanna emanata nei confronti degli imputati con rinvio degli atti al Tribunale di provenienza per un nuovo esame.

 

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione - Penale Sezione IV - Sentenza n. 19208 del 9 maggio 2016 (u. p. 20 aprile 2016) -  Pres. Ciampi – Est. Tanga - Ric. Proc. Generale e Parti civili. - Un cantiere non è da considerarsi concluso soltanto perché sono terminate le opere edili in senso stretto ponendosi tale interpretazione in contrasto con la pluralità delle attività che sono ancora in corso e da coordinare.

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