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""Alla Thyssen era tutto a posto. Gli operai erano distratti""

fonte La Stampa, A.Gaino / Sicurezza sul lavoro

07/10/2009 - In quel periodo il personale mostrava un certo disinteresse al posto di lavoro». Il primo imputato a deporre al processo Thyssen è l’ex responsabile della sicurezza sul lavoro di corso Regina Margherita, Cosimo Cafueri, e le sue inziali affermazioni danno subito conto che non intende arroccarsi in una linea difensiva di minimizzazione delle proprie responsabiltà. Almeno non solo. Il «quadro» ora in pensione comincia dalla «distrazione» degli operai, ci ritorna su: «La gente aveva la testa da un’altra parte, in fabbrica. Forse per via dell’annuncio della chiusura dello stabilimento. Lo avevano notato anche gli ispettori dell’Asl (quelli ora sotto inchiesta, ndr.) e avevano raccomandato più attenzione». Lui era «abbastanza preoccupato che qualcuno si facesse male». Il degrado. Impassibile: «Le condizioni di lavoro sono migliorate rispetto a quando, 1974, era entrato in fabbrica da operaio». Nemmeno negli ultimi tempi, quelli descritti da tanti testimoni come progressivo abbandono di ogni misura di sicurezza, ha «notato disordine». «La carta per terra era un’anomalia». «Ho visto dei colaticci, ma gli impianti non perdevano olio». Lo stabilimento di corso Regina era in sicurezza: «C’erano manutenzione, impresa di pulizia, ispezioni continue, anche da parte mia». E, a questo punto, l’affondo: «E’ chiaro che, a fronte di quel che è successo, qualcuno ci ha messo del suo». Mormorii in aula. Cinque ore e mezzo dopo, Cafueri fa il bis sull’argomento: «Se qualcuno ha avuto interesse a dire cose che non sono vere non so perché l’abbia fatto. Anche dalle ispezioni Asl non risultava. Sollecitavo i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza a partecipare alle riunioni da me indette. Non sono quasi mai venuti nel mio ufficio». Salva Boccuzzi, il superstite della linea 5 e oggi deputato. Eccezione. Alla fine Cafueri se ne esce con un definitivo «sono state prese tutte le precauzioni, tra cui quella della presenza dell’operatore quando sta sull’impianto». Allusione alle 7 vittime del rogo che si sarebbero distratte quella sera. Boccuzzi ascolta e dà questa interpretazione: «E’ dall’inizio del processo che cercano di dire che facevamo altro». Guariniello, flemmatico, mette l’imputato alle corde: «Lei prima ha detto che la gestione era “così”». Cafueri reagisce: «Così come?». Momento surreale, ma, sulla concretezza che Rocco Marzo era stato nominato due giorni prima della tragedia responsabile dell’emergenza per l’intero stabilimento senza aver fatto un corso di formazione, Cafueri sa dir poco. Solo che non sapeva che Marzo non aveva fatto il corso: «Lo conoscevo da 30 anni, era mio amico, una persona capace, di grande esperienza e non mi aveva detto di non aver fatto il corso». Guariniello, impietoso: «Ciò non toglie che non avesse la formazione per coordinare l’emergenza». Cafueri, in precedenza: «Il protocollo dell’emergenza prevedeva che il responsabile valutasse restrittivamente la possibilità di affrontare con gli addetti a disposizione i principi di incendio. Purtroppo, quella sera niente ha funzionato, a cominciare dal coinvolgimento del capoturno nell’incendio». Così disse l’ex «quadro» Cafueri. Rosy, vedova di Marzo: «Ogni volta che vengo qui sono coltellate». Elena, mamma di Antonio Schiavone: «Quello lì deve solo vergognarsi a dire che era tutto in ordine. Lavavo le tute di mio figlio che erano un’unica macchia d’olio».

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