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"Formazione, la leva per superare la crisi"

fonte Italia Oggi / Formazione ed informazione

28/03/2011 - Investire nella formazione per uscire dalla crisi. Forse un tempo però, perché ora nel pantano della crisi sono finite anche le risorse che le aziende utilizzano per formare i propri dipendenti. Non è un caso che nel 2009 il numero dei corsi finanziati da enti o aziende sia sceso di oltre il 22% e di conseguenza il numero dei partecipanti alle attività formative, il 13% in meno. A rilevarlo è il Rapporto 2010 sulla formazione continua realizzato dal ministero del lavoro e delle politiche sociali con l'assistenza tecnico-scientifica dell'Isfol che mette in luce come la profonda crisi economica e occupazionale abbia comunque orientato e condizionato le iniziative di formazione continua. E se le medie e grandi imprese sono riuscite a tenere il naso fuori dal pelo dell'acqua continuando a investire in formazione, le piccole e microimprese hanno dovuto stringere i cordoni della borsa per restare a galla, concentrando gli sforzi su altri settori. In questo panorama, però, si è registrato un forte consolidamento dei Fondi paritetici interprofessionali, 18 in totale all'interno dei quali sono rappresentate la maggior parte delle associazioni datoriali e sindacali, che solo nell'ultimo anno hanno approvato quasi 10 mila piani formativi destinati a oltre 1 milione 200 mila lavoratori. I numeri della formazione. Il primo risultato della crisi è stato proprio la riduzione delle iniziative formative promosse dalle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, fenomeno che ha marciato di pari passo con il calo dei soggetti che hanno partecipato. Se nel 2008 i partecipanti ai corsi erano 1 milione e 400 mila l'anno successivo se ne sono contati 173 mila di meno con una diminuzione del 13%. In particolare, come evidenzia il presidente dell'Isfol Sergio Trevisanato, si registra un calo di partecipazioni nei corsi direttamente finanziati dalle aziende (un terzo in meno) rispetto a quelli a finanziamento regionale che invece vanno meglio, se non altro per il fatto che vengono utilizzati come strumenti di politica attiva per promuovere l'occupazione. L'andamento negativo delle partecipazioni è un fenomeno che nel 2009 coinvolge in maniera trasversale tutti i livelli e lo conferma il -29,2% delle presenze alle attività formative tipiche dei profili professionali medio-alti. I fondi paritetici. I Fondi paritetici interprofessionali rappresentano attualmente la componente del sistema che concentra le maggiori risorse finanziarie dei lavoratori. E, rileva l'Isfol, l'ampliamento delle tipologie contrattuali che versano il contributo dello 0,30% ne accresce ulteriormente il ruolo. Nonostante gli effetti della crisi, infatti, tra il 2009 e il 2010 si registra un saldo positivo pari a circa 50 mila nuove adesioni a cui corrispondono più di 860 mila lavoratori. Nel biennio 20092010 questi fondi hanno stanziato circa 670 milioni di euro di cui 135 espressamente dedicate alle aziende colpite dalla crisi economica. In questo caso, i principali destinatari sono stati i lavoratori temporaneamente sospesi ma anche i collaboratori a progetto e gli apprendisti. Nel periodo compreso tra gennaio 2009 e giugno 2010 i Fondi hanno comunque approvato oltre 9.800 piani formativi destinati a circa 1 milione 288 mila partecipanti appartenenti a più di 32.500 imprese. Le iniziative si sono concentrate intorno a corsi molto brevi, che spesso non superano le 24 ore, e di carattere standardizzato, svolti prevalentemente in aula. Questo ha permesso da una parte di coinvolgere un numero alto di lavoratori e dall'altra di spendere velocemente le risorse a disposizione compatibilmente con l'esiguità dell'importo pro capite versato dalle imprese ai Fondi (mediamente pari a 40-50 euro annui). La modalità formativa. Se comunque nel 2009 sono calati gli investimenti aziendali nella formazione i lavoratori, rileva il rapporto, hanno trovato alcune strade alternative. Sempre più soggetti, per esempio, hanno deciso di scegliere un tipo di formazione diversa sia dai corsi aziendali che da quelli regionali, optando per attività legate a scelte e percorsi individuali più ancora che professionali. In questo senso si registra un 24,5% della partecipazioni a lezioni private e individuali e un 29,9% di adesioni a corsi d'inglese e informatica. In ogni caso in Italia, dice l'Isfol, l'impegno sul fronte della formazione degli occupati «è ancora sensibilmente minore rispetto agli altri partner comunitari». Del resto solo il 20,7% delle imprese ricorre ad analisi strutturate dei propri fabbisogni formativi e solo nel 18,7% dei casi si adottano pratiche per la rilevazione delle specifiche esigenze dei lavoratori. Le differenze territoriali. Ma la formazione poca o tanta che sia, viene erogata in maniera differente in base alla dimensione, al territorio e al settore. I dati sulla distribuzione territoriale, come sottolinea il numero uno dell'Isfol Trevisanato, ci dicono che i tassi di partecipazione alle attività formative sono più bassi nel Sud dove, alla minore densità dell'offerta formativa aziendale si accompagna una scarsa disponibilità di reddito familiare ed individuale. Sono invece molto alti al Nord e in particolare nel Nordest. Le aziende che fanno formazione. La dimensione aziendale è una delle maggiori discriminanti in tema di formazione: di fatto, la metà delle imprese con più di 250 addetti ha utilizzato nel corso del 2009 la leva formativa, quota che si riduce a un terzo per le aziende che hanno tra i 50 e i 249 addetti. Le grandi e medie imprese (ed anche quelle italiane) collocate su mercati dinamici e competitivi, pianificano e realizzano la formazione delle proprie risorse umane con costanza, indotte dalle condizioni di mercato. Diverso è il caso per quanto le piccole e piccolissime imprese, le aree produttive del Mezzogiorno, buona parte dell'ampia platea dei lavoratori autonomi, dei titolari di micro-imprese e dei lavoratori cosiddetti atipici. La domanda di formazione espressa da questi gruppi è scarsa e poco strutturata, sia perché il loro posizionamento rispetto alle dinamiche del mercato non rende l'esperienza formativa indispensabile e pressante, sia perché non sono in grado di sfruttare appieno i circuiti informativi disponibili.

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