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"Ok alle brevi uscite durante la mallatia"

fonte Il Sole 24 Ore / Salute

28/03/2011 - Illegittimo il licenziamento del lavoratore che durante un periodo di malattia esce di casa, a piedi e in auto, per acquisti e altre attività quotidiane, adeguandosi alle prescrizioni del suo medico curante. Lo ha affermato la sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 6375 del 21 marzo 2011. La Corte ha respinto il ricorso di un'azienda, che dopo aver fatto pedinare un dipendente assente dal lavoro per malattia, lo aveva licenziato contestandogli un comportamento incompatibile con lo stato patologico. La bocciatura dei giudici di piazza Cavour conferma la decisione espressa dalla Corte d'appello di Torino che aveva accolto la domanda del lavoratore dichiarando nullo il recesso e condannando il datore alla reintegrazione e al risarcimento del danno. In primo luogo; secondo la Cassazione, la pronuncia dei giudici d'appello è «sorretta danna motivazione adeguata e logica, oltre che immune da errori di diritto circa la mancanza di prova di una violazione disciplinare a fondamento del licenziamento intimato». Nel provvedimento infatti è stato ben evidenziato come la malattia (distorsione di una caviglia), posta a giustificazione dell'assenza dall'ufficio, fosse supportata da certificazioni mediche pubbliche, provenienti anche dall'Inali, e da precisi esami strumentali accompagnati da analitiche diagnosi: radiografie effettuate in due tempi; al momento dell'infortunio e poi a distanza di tre mesi, e, infine, successiva risonanza magnetica. Il lavoratore, quindi, aveva seguito la prassi corretta e non aveva l'onere di provare, aulteriore conferma dei certificati medici, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa. Perciò spettava al datore, che aveva messo in dubbio l'attendibilità del medico curante, effettuare delle visite di controllo ulteriori per dimostrare l'eventuale inesistenza della malattia, l'insussistenza di un'incapacità lavorativa o l'adozione di comportamenti contrari al dovere del lavoratore di non pregiudicare o rallentare la guarigione. Se il datore infatti accerta che il lavoratore in "riposo" svolge un'attività, spetta poi a quest'ultimo dimostrarne la compatibilità con la malattia che lo tiene lontano dal lavoro, altrimenti risulta un'assenza ingiustificata. Riguardo al comportamento del lavoratore, nessun addebito può essergli contestato poiché aveva solo eseguito le indicazioni del suo medico che gli aveva prescritto di «compiere del movimento e, in particolare, di camminare». La sezione Lavoro oltre ad affermare il principio secondo il quale «riprendere la vita normale non ritarda la guarigione», ha anche sottolineato che dalle indagini investigative fatte scattare dalla società non era emerso lo svolgimento da parte del dipendente di altra attività lavorativa bensì la ripresa di alcune azioni della vita privata (spostamenti a piedi o in macchina per piccole compere o semplici mansioni), non gravose e non comparabili a quelle di un'attività d'ufficio a tempo pieno.

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