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"La responsabilità del venditore per la mancata sicurezza di una macchina"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
10/09/2012 -
Commento a
cura di G. Porreca.
L’attenzione della Corte di Cassazione è rivolta in questa sentenza alla individuazione delle responsabilità nel caso che accada un infortunio sul lavoro presso una macchina che, benché marcata CE, presenti delle carenze in materia di sicurezza sul lavoro. Secondo la suprema Corte della inadeguatezza dei sistemi di protezione di una macchina che ha portato all’infortunio, anche se la stessa risulta munita del certificato di conformità CE, risponde per il reato di lesione personale colposa o di omicidio colposo anche colui che ha venduto ed installato la macchina stessa prodotta da altro soggetto e risultata priva dei necessari presidi di sicurezza.
L’attenzione della Corte di Cassazione è rivolta in questa sentenza alla individuazione delle responsabilità nel caso che accada un infortunio sul lavoro presso una macchina che, benché marcata CE, presenti delle carenze in materia di sicurezza sul lavoro. Secondo la suprema Corte della inadeguatezza dei sistemi di protezione di una macchina che ha portato all’infortunio, anche se la stessa risulta munita del certificato di conformità CE, risponde per il reato di lesione personale colposa o di omicidio colposo anche colui che ha venduto ed installato la macchina stessa prodotta da altro soggetto e risultata priva dei necessari presidi di sicurezza.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha condannato il fornitore di una macchina
stiratrice professionale in ordine al reato di lesioni personali colpose in
danno di un lavoratore commesso, secondo la contestazione, per colpa consistita
in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per violazione della normativa
antinfortunistica per aver venduto ed installato la macchina stessa, costruita
da altra società, priva dei necessari requisiti di sicurezza.
In particolare era risultato dalle indagini che l’imputato aveva provveduto
personalmente ad installare la macchina con l'ausilio di un collaboratore, l’aveva
inoltre allacciata alla rete elettrica ed aveva effettuato, altresì, alcune
prove di funzionamento. Aveva quindi stirato, regolato la temperatura, girato
l'apparecchio per poter stirare alcuni capi, controllato la rotazione, verificato
l’intervento del fungo di sicurezza e della barra salvamani, fornendo al
cliente ed alle sue dipendenti presenti le istruzioni per il funzionamento
dell'apparecchio stesso.
L’infortunio oggetto della sentenza aveva riguardato, in
particolare, una lavoratrice la quale, nel sistemare il lenzuolo sulla base di
legno, aveva sentito tirare la mano destra dentro il rullo e, colta dal panico,
era riuscita solo ad abbassarsi e schiacciare il fungo con la mano sinistra
dopo comunque che la sua mano destra era entrata sino al polso. L'esposizione
dell'arto all'elevato calore della stiratrice aveva reso necessaria
l'amputazione della mano a causa delle ustioni di terzo grado estese sino al 3
distale dell'avambraccio destro.
La macchina era munita di certificato di conformità CE ed
aveva due sistemi di sicurezza: 1) una barra salvadita per tutta la lunghezza
della stessa, per impedire il passaggio delle dita verso il rullo, ma con una
altezza troppo ampia tra il rullo e l'asta di sicurezza, tanto da consentire il
passaggio delle dita fino alle nocche, se non di tutta la mano; inoltre la
barra non interrompeva il moto del rullo, ma faceva semplicemente allontanare
la conca, salvo riprendere la lavorazione normale dopo una breve inversione del
moto del rullo; 2) l'altro sistema era il tasto di emergenza di colore rosso
posto sul lato destro dell'apparecchio, il che rendeva difficoltosa la
possibilità di azionamento se la mano destra fosse rimasta incastrata nel
rullo. Secondo le conclusioni degli ispettori dello SPESAL e del consulente del
P. M. entrambi i presidi erano inadeguati, il primo perché non impediva
l'attrazione della mano nel rullo ed il secondo perché non di agevole
azionamento. A riprova della insufficienza dei dispositivi di sicurezza, gli
stessi avevano riferito di aver appurato che la ditta costruttrice aveva poi
adeguato il macchinario, sia ponendo un secondo fungo di sicurezza sulla
sinistra, sia rendendo non raggiungibili le parti in movimento, conca e rullo,
mediante copertura.
Il Tribunale ha quindi ritenuto sussistente la specifica
violazione degli articoli 68 e 132 del D.P.R. n. 547 del 1955 per la mancata
adeguata segregazione degli organi lavoratori della macchina, tale da impedire
la presa e il trascinamento delle dita e della mano della lavoratrice. Lo stesso Tribunale ha fatto
presente, inoltre, che il D. Lgs. n. 626 del 1994 con l’articolo 6, comma 2, ha
vietato, tra l'altro, la vendita di attrezzature da lavoro e di impianti non
rispondenti alle norme sulla sicurezza e che con il comma 3 del medesimo
articolo ha imposto agli installatori di
attenersi alle norme di sicurezza per cui è stato dedotto che era preciso onere
dell’imputato, quale venditore ed installatore della macchina, assicurare la sua
conformità alle norme antinfortunistiche, poiché era suo obbligo effettuare in
concreto le opportune verifiche di sicurezza, anche se del caso sollecitando o
operando modifiche del macchinario, laddove i difetti fossero stati evidenti,
così come si era verificato nel caso in esame.
I
ricorsi alla Corte di Appello e alla Corte di Cassazione
A seguito di ricorso dell’imputato la Corte d'Appello ha
confermata la decisione del Tribunale condividendone le conclusioni per cui il
datore di lavoro ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione mettendo in
particolare in evidenza che la causa dell'incidente non era da ricondurre ad
una palese inadeguatezza del macchinario, bensì al mancato intervento del
sistema di sicurezza così come osservato dal consulente tecnico del P. M. e che
inoltre lo stesso non avrebbe potuto effettuare interventi per la modifica di
un macchinario prodotto e commercializzato da terzi e che appariva a vista
conforme alle norme di legge e munito di tutte le certificazioni di conformità.
Lo stesso imputato, inoltre ha sostenuto l'imprevedibilità dell'evento avuto
riguardo alla esistenza di tutte le certificazioni attestanti il rispetto della
normativa antinfortunistica ed alla mancanza di qualsiasi analogo infortunio in
relazione all'uso degli altri macchinari simili venduti su tutto il territorio italiano.
Le
decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha annullata senza rinvio la
sentenza impugnata agli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato
ed ha rigettato il ricorso dell’imputato agli effetti civili confermando le
disposizioni della sentenza impugnata concernenti gli interessi.
La Corte di Cassazione ha ritenuto formalmente e
sostanzialmente legittima la decisione della Corte di Appello impugnata avendo
la stessa “
accertato in punto di fatto
che la inadeguatezza dei sistemi di protezione del macchinario era percepibile
palesemente ed ictu oculi’" e che le inadeguatezze dei dispositivi
di protezione accertate erano
effettivamente tali da essere considerate
di immediata percezione specie per un soggetto certamente esperto nel
settore quale era l’imputato per la sua attività di venditore di tali
macchinari. La Sez. IV ha quindi ritenuta sussistente la responsabilità dell’imputato,
sia pure ai soli fini civili stante l'intervenuta prescrizione del reato, alla
luce dei principi condivisibilmente enunciati in materia nella giurisprudenza
di legittimità circa la responsabilità, nel caso di incidente derivato dall'uso
di un macchinario, anche del venditore del macchinario stesso ove si tratti di
infortunio riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici di
quel macchinario. “
Il divieto di vendita
di macchine”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “
non conformi alle norme antinfortunistiche, di cui al Decreto
Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 6, comma 2, come sostituito dal
Decreto Legislativo 19 marzo 1996, n. 242, articolo 4, non può ritenersi
limitato agli industriali o commercianti che abitualmente forniscono le
macchine, attrezzature ed impianti, bensì va esteso a qualsiasi soggetto che
esegua anche una sola vendita o rivendita".
“
In tema di lesioni
personali a seguito di infortunio sul lavoro”, ha quindi affermato la
suprema Corte, “
la condotta di colui che,
in violazione del divieto sancito dal Decreto del Presidente della Repubblica
n. 547 del 1955, articolo 7, venda una macchina non conforme alle prescrizioni
dell'articolo 68 dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica, è di per
sé sufficiente ad integrare l'elemento di colpa specifica del delitto di cui
all'articolo 590 c.p., comma 3, ed è legata da nesso concausale con l'evento
lesivo, stante la normalità e la conseguenzialità dell'impiego della macchina
nel ciclo produttivo della ditta acquirente". “
A ciò aggiungasi”, ha quindi concluso la Sez. IV per mettere bene in
evidenza l’assoluta irrilevanza della presenza della marcatura di conformità
CE, “
che, come detto, nella concreta
fattispecie si trattava di inadeguatezza dei presidi antinfortunistici
oggettivamente percepibile, circostanza, quest'ultima, che rende irrilevante la
mera presenza formale di una certificazione attestante la rispondenza del
macchinario alle prescritte misure di sicurezza”
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