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"Decreto 81: sicurezza e sorveglianza sanitaria dei medici"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
13/12/2013 -
Un nostro lettore, dipendente dell’ASL della Provincia di Mantova e
collaboratore giuridico della Direzione Amministrativa, ci ha inviato alcune
utili precisazioni in merito alla applicabilità della normativa in materia di
sicurezza sui luoghi di lavoro, e della sorveglianza sanitaria in particolare,
ai medici di medicina generale convenzionati con il SSN.
Si esamina qui di seguito la
questione relativa alla applicabilità delle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008
ai
medici di assistenza primaria, di
continuità assistenziale e di medicina dei servizi (estensibile ai medici
dei servizi di emergenza territoriale) i quali si distinguono dagli altri
lavoratori per le particolari caratteristiche del proprio rapporto
convenzionale con le aziende
sanitarie ed ospedaliere.
Come noto a livello contrattuale
tale personale rientra nella categoria dei
Medici
di Medicina Generale (MMG).
Delle disposizioni del citato D.
Lgs. n. 81/2008 occorre innanzitutto richiamare la definizione di cui all’art.
2, nel quale ai fini ed agli effetti della applicazione delle disposizioni di
cui al medesimo decreto si precisa che si intende per:
a) "
lavoratore": persona che, indipendentemente dalla tipologia
contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di
un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione (omissis);
b) "
datore di lavoro": il soggetto titolare del rapporto di lavoro
con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto
dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha
la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto
esercita i poteri decisionali e di spesa. (omissis)
Dall’esame della definizione di
lavoratore sopra riportata emergono i seguenti
punti fermi:
-
esiste un lavoratore nel momento in cui esiste anche un Datore di
Lavoro pubblico o privato: in altre parole, non tutti coloro che lavorano
sono definibili come “lavoratori” ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008. Per esser
definiti tali e quindi oggetto delle norme di tutela, devono operare
"nell’ambito della organizzazione di un datore di lavoro";
-
il tipo di contratto di lavoro è assolutamente irrilevante
("indipendentemente dalla tipologia contrattuale"): non solo il
lavoratore a contratto di lavoro dipendente risponde alla definizione, ma anche
qualsiasi altro soggetto (lavoratore a progetto, lavoratore
interinale o "somministrato" co.co.co, lavoratore a chiamata,
artigiano) che operi nell’ambito della organizzazione del Datore di Lavoro.
Riguardo al primo requisito è
indubbio che i MMG operino nell’ambito della organizzazione di un datore di
lavoro (la Asl) e che pertanto siano da considerarsi lavoratori a tutti gli
effetti, se pure con connotazioni diverse tra i medici di assistenza primaria,
di continuità assistenziale e della medicina dei servizi.
In tutti i casi il servizio che
essi svolgono (di pubblica utilità) è loro affidato da una struttura sanitaria
pubblica a seguito di una procedura di selezione ad evidenza pubblica,
disciplinata dalle norme dell’ACN per la disciplina dei rapporti convenzionali.
Tanto che secondo il parere della
Corte di Cassazione [1] il
medico convenzionato con il SSN riveste la qualifica di Pubblico Ufficiale, in
quanto egli svolge una tipica attività disciplinata da norme di diritto
pubblico in relazione alle prestazioni cui il cittadino ha diritto nell’ambito
del SSN.
Si consideri inoltre che secondo
la Cassazione va riconosciuta la giurisdizione della Corte dei Conti nei
confronti dei medici convenzionati dal momento che la convenzione che li lega
al SSN determina l’instaurazione di un rapporto di servizio con la PA,
rilevante ai fini dell’assoggettamento alla giurisdizione contabile [2].
Altro importante
elemento ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro è il
compenso che tali medici percepiscono, predeterminato
(sulla base di un accordo sindacale) nella forma, nella modalità di erogazione
e nell’ammontare, ma soprattutto fissato su base oraria e/o capitaria, con la
previsione di incentivi per la partecipazione ad obiettivi stabiliti dal
committente ed una quota per prestazioni aggiuntive e dipendenti dalle
disponibilità finanziarie dell’ente gestore (Regione).
Si consideri
inoltre l’art. 12 dell’ACN (Accordo collettivo nazionale) vigente in cui i MMG sono
individuati quali
primo accesso al
sistema sanitario, ai cui utenti
(non
ai loro quindi) sono tenuti a garantire un accesso diretto e illimitato.
L’orientamento
che si ricava quindi da alcune recenti sentenze della Cassazione [3]
secondo cui “
il medico convenzionato
(inteso come medico di assistenza primaria)
rispetto
ai propri assistiti si pone in una relazione professionale simile a quella
intercorrente tra un professionista privato ed il suo paziente, considerando
che l’Asl sugli stessi medici non esercita alcun potere di vigilanza controllo
o direzione, i quali sono del tutto liberi nella predisposizione
dell’organizzazione che mettono a disposizione del paziente”, deve
ritenersi valida solo ed esclusivamente ai fini del disconoscimento di un
rapporto di immedesimazione organica con l’azienda sanitaria e quindi
dell’esclusione di una eventuale responsabilità della stessa per danni arrecati
dal medico ai pazienti. [4]
Soltanto con
riguardo all’organizzazione basterebbe, infatti, richiamare la disciplina di
cui all’art. 8 del D.lgs 30.12.1992 n. 502, in cui sono attualmente previste le
forme e le modalità (nonché i vincoli orari) con le quali i MMG sono tenuti a
svolgere le proprie prestazioni (che è evidentemente altro che dire che essi
sono
del tutto liberi nella
predisposizione dell’organizzazione).
Per una corretta qualificazione del suddetto rapporto si
considerino inoltre le garanzie previste in caso di malattia, inabilità
temporanea o per motivi di studio, gravidanza e assistenza a figli e altri familiari,
la previsione di provvedimenti disciplinari e la possibilità di irrogare
sanzioni, nonché la programmazione e organizzazione di percorsi formativi
dedicati con obbligo di partecipazione quale requisito per il mantenimento del
rapporto convenzionale (con oneri a carico delle aziende committenti), nonché
la programmazione delle attività sulla base di linee di indirizzo regionali ed
il monitoraggio delle stesse da parte delle aziende e da ultimo il diritto di sciopero
(per quanto istituto non più prerogativa esclusiva del rapporto di lavoro
dipendente).
Riguardo ai
medici
di assistenza primaria certamente occorre riconoscere che il loro rapporto
si caratterizza per una maggiore autonomia rispetto a quello delle altre due
categorie; tuttavia non può negarsi che anch’esso sia incardinato nell’ambito
dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico.
Si considerino a tal fine le disposizioni con le quali
vengono predefinite le modalità di svolgimento delle prestazioni, nonché le
limitazioni all’esercizio della libera professione che per gli stessi sono
previste.
Sono da tenere in considerazione certamente anche le
disposizioni di cui all’art. 36 del ACN in cui si prevedono gli obblighi a cui
il medico è tenuto rispetto alla struttura e alla dotazione strumentale
funzionale al mantenimento del rapporto convenzionale di assistenza primaria [5].
Riguardo ai
medici
di continuità assistenziale si segnalano quali elementi caratterizzanti la
reale natura del loro rapporto di lavoro, l’organizzazione delle attività da
parte delle aziende committenti, il conferimento di incarichi nel limite di un
massimale orario settimanale predefinito a livello contrattuale, la
disponibilità delle sedi attrezzate, dei farmaci e del materiale e dei mezzi
necessari all’esercizio dell’attività, nonché l’assicurazione contro gli
infortuni a carico dell’azienda.
Per i
medici della
medicina dei servizi elementi peculiari sono la facoltà di trasferimento
interaziendale, la retribuzione di un permesso annuo (irrinunciabile),
l’esercizio dei controlli sugli stati di malattia e di infortunio dichiarati ed
infine l’assicurazione contro i danni da responsabilità civile professionale
verso terzi, con oneri a carico delle aziende sanitarie.
Sulla base di tali premesse, se
da un lato la natura giuridica del rapporto di lavoro dei MMG non può certo
definirsi di dipendenza, dall’altro lo stesso non può nemmeno considerarsi del
tutto libero nei fini nei modi e nei tempi di svolgimento.
Si tratta pertanto di stabilire
se il rapporto di convenzione che si viene ad instaurare con i MMG può essere riconducibile
ad un rapporto di lavoro autonomo o di altra natura, al fine di ritenere applicabili
innanzitutto le norme relative agli obblighi a carico del datore di lavoro
(artt. 15, 17,18,19) e del lavoratore (art. 20).
Per le condizioni a cui i
rispettivi contratti sono assoggettati, si ritiene compatibile con gli stessi
la connotazione data dalla normativa in materia di sicurezza ai rapporti
di lavoro autonomo, per quanto l’unica disposizione nella quale si
definiscono i caratteri del lavoro autonomo (ai fini dell’applicazione delle
norme in materia di sicurezza dei cantieri) è quella contenuta nell’
art. 89 secondo la quale :
è lavoratore autonomo la persona fisica la
cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza
vincolo di subordinazione.
Come noto ai sensi dell’art.3, comma
3, il D. Lgs. n. 81/2008 si applica a tutti i
lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi
equiparati, fermo restando quanto previsto dai commi successivi del predetto
articolo.
Il successivo comma 11 prevede
che nei confronti dei lavoratori
autonomi di cui all’art. 2222 cod. civile si applichino le disposizioni di
cui agli articoli 21 e 26.
Ora se può risultare riduttiva
per la professionalità del medico convenzionato la definizione del suddetto
art. 89, essa può certamente essere ricompresa nella definizione che l’art.
2222 cc da del contratto d’opera ossia,
quando
una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un
servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione,
nei confronti di un committente.
La terminologia utilizzata anche
in questo caso non è del tutto appropriata a descrivere l’attività
professionale del MMG ed il suo rapporto con l’azienda sanitaria.
Ma del resto già ricondurre le
disposizioni contrattuali che disciplinano il rapporto convenzionale con i MMG
nell’ambito delle suddette disposizioni del Codice civile è indubbiamente una forzatura
(essendo che molte di esse richiamano piuttosto con tutta evidenza un rapporto
di lavoro subordinato).
Per cui dal momento che le
prestazioni che il medico si appresta a svolgere non sono dallo stesso assunte
di sua spontanea iniziativa, ma sempre e comunque sulla base di un rapporto (di
convenzionamento) senza il quale non ne avrebbe titolo e nemmeno
l’autorizzazione all’esercizio, anche una forzatura terminologica con la quale
alla Asl venga attribuito il titolo di
committente
(se pure impropriamente) può sicuramente essere sostenuta.
Del resto pure a fronte di una
tale atipicità del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, non è
sostenibile che un lavoratore tale quale è il medico possa rimanere privo di
tutela, mettendo a rischio la propria ed altrui incolumità nell’esercizio delle
proprie funzioni.
Prendendo quindi in esame le
disposizioni del D.
Lgs. n. 81/2008 applicabili ai MMG in relazione alla tipologia di
prestazioni da essi svolte e alla natura del loro rapporto con la Asl
competente viene prima di tutto in considerazione il noto art. 21 in cui si
stabilisce che
i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai
sensi dell’art. 2222 del codice civile, soggiacciono all’obbligo di utilizzare
attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III, di
munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente
alle disposizioni del medesimo Titolo III e di munirsi di apposita tessera di riconoscimento
corredata di fotografia, contenente le proprie generalità (peraltro
quest’ultimo obbligo è previsto solo nell’ipotesi in cui effettuino la loro
prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di
appalto o subappalto).
L’articolo 21, al comma 2, prevede la
facoltà degli stessi soggetti, in relazione ai rischi propri delle
attività svolte e con oneri a proprio carico, di beneficiare della
sorveglianza sanitaria secondo le
previsioni dell’art. 41 del T.U. e partecipare a corsi di formazione specifici
in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle
attività svolte, secondo quanto previsto dall’articolo 37 del T.U.
I soggetti sopra menzionati non
saranno obbligati a redigere il documento di valutazione dei rischi, atteso che
tale obbligo incombe unicamente in capo a chi riveste la qualifica di datore di
lavoro. (salvo il caso in cui essi stessi non ne abbiano le caratteristiche in
relazione alle eventuali collaborazioni professionali attive presso i rispettivi
studi medici).
Ma dal
momento che risulta evidente l’intendimento del legislatore di equiparare i lavoratori
autonomi agli altri lavoratori - oltre alle disposizioni che ad essi sono
specificamente dedicate e contenute nei citati artt. 21 e 26 - occorre
considerare anche gli altri obblighi a carico dei lavoratori a partire dalla
disposizioni di cui all’art. 20.
In esso
al comma 1 viene precisato che “
ogni
lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quelle
delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti
delle sue azioni o omissioni” e fra i suddetti obblighi è possibile
riscontrare appunto al comma 2 lett. h) quello di partecipare ai programmi di
formazione e di addestramento ed al comma 2 lett. i) quello di sottoporsi ai
controlli sanitari previsti o comunque disposti dal medico competente.
La convinzione che il lavoratore autonomo non
abbia l’obbligo di sottoporsi alla
formazioneed alla
sorveglianza sanitaria
in relazione ai rischi della propria attività lavorativa, deriva da quella che
si ritiene una imprecisione del legislatore che li avrebbe dovuti inserire
esplicitamente nell’articolo 21 del D.
Lgs. n. 81/2008
assieme agli obblighi in
esso elencati al comma 1 nonché da una frettolosa lettura del comma 2 dello
stesso articolo che indica che i soggetti di cui al comma 1, fra i quali
appunto i lavoratori autonomi, hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza
e di partecipare a corsi di formazione specifici. È invece del tutto evidente
che la facoltà che il legislatore esprime al comma 2 non è quella di sottoporsi
alla sorveglianza sanitaria in relazione ai rischi specifici della propria attività
ed alla formazione incentrata sui rischi medesimi, che sono da ritenersi
obbligatorie, bensì di poter “beneficiare”, per dar corso alla sua autotutela,
della sorveglianza sanitaria, sottoponendosi a visita medica, a proprie spese,
da parte del medico
competente del datore di lavoro che lo ospita, così come avviene per
qualsiasi altro lavoratore che è alle sue dipendenze, e di poter altresì
“partecipare”, sempre a sue spese, ai corsi di formazione specifica in materia
di salute e di sicurezza sul lavoro ai quali il datore di lavoro che lo ospita
avvia i propri lavoratori dipendenti.
[6]
L’
art. 26 nel disciplinare gli obblighi connessi ai contratti di
appalto, d’opera o di somministrazione nell’ambito dei quali vengono affidati
lavori servizi o forniture, presuppone innanzitutto per il datore di lavoro la
disponibilità giuridica dei luoghi in cui si
svolgono le prestazioni.
Se tale requisito è certamente
sussistente per i medici di continuità assistenziale e per i Medici della
medicina dei servizi, non altrettanto certo è per i medici di assistenza
primaria: l’art. 36 dell’ACN sopra citato, sembrerebbe infatti deporre
decisamente in senso negativo.
La finalità della norma è quella
di verificare l’idoneità professionale del lavoratore autonomo in relazione
alle prestazioni da erogare, nonché quella di fornire dettagliate informazioni
in merito ai rischi specifici esistenti negli ambiti enti in cui è chiamato ad
operare.
Ora se si considera che da tale presupposto
consegue l’obbligo del
committente di
cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi,
di coordinare i relativi interventi e di redigere un documento di valutazione
dei rischi che indichi le misure da adottare per eliminare o ridurre i rischi
da interferenze (se pure tale obbligo non si applichi ai contratti aventi ad
oggetto prestazioni di natura professionale, sempre che essi non comportino
rischi derivanti dalla presenza di agenti biologici, come si suppone esistano
nel caso di specie), allora può desumersi una valenza non strettamente
giuridica e formale della suddetta disponibilità dei locali.
Del resto dall’art. 62, secondo il quale
si intendono
per luoghi di lavoro
i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno
dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza
dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del
proprio lavoro, si può cogliere l’intenzione del legislatore di
intendere il suddetto termine nella accezione più ampia.
A tali considerazioni ne consegue
che l’
azienda sanitaria rimane
assoggettata agli obblighi che la norma pone a carico del datore di lavoro
ossia, oltre a quelli di cui ai già citati artt. 15, 17, 18 e 19, anche a
quelli derivanti dai successivi articoli 36 e 37 in materia di formazione e
informazione, 38 - 42 in materia di sorveglianza
sanitaria, 64 sui luoghi di lavoro, 71 sull’uso delle attrezzature e 78
sull’uso dei DPI.
Con riguardo in particolare alla
sorveglianza sanitaria che dovesse
essere attivata dalla azienda sanitaria occorre tuttavia considerarne la
rilevanza ai fini della costituzione ed eventuale cessazione del rapporto
convenzionale.
A tal fine le uniche disposizioni
contrattuali che vengono in rilievo sono quelle di cui all’art. 19 del citato
ACN del 23 marzo 2005, nel quale si prevede la possibilità che, su richiesta
del lavoratore o dell’azienda sanitaria, la Commissione medico legale accerti
la sopravvenuta incapacità psico-fisica a svolgere l’attività sanitaria oggetto
del rapporto di convenzione, nonché quelle di cui all’art. 73 comma 4 (riferito
ai soli Medici di continuità assistenziale) in cui si prevede che in caso di
accertata inabilità il medico possa essere adibito a
“specifiche differenti attività inerenti il proprio incarico”.
Non è quindi previsto
contrattualmente alcun accertamento preventivo dell’idoneità sanitaria.
Senonché ai sensi dell’art. 41
del D. Lgs. n. 81/2008 è previsto che la sorveglianza sanitaria “sia
effettuata … nei casi previsti dalla normativa vigente “.
Tra le forme e le finalità della sorveglianza
sanitaria è inoltre prevista
“
la visita medica preventiva in fase pre-assuntiva
”
.
[7]
Con particolare riguardo alle visite mediche preventive la stessa norma
stabilisce che esse
“possono essere svolte in fase preassuntiva su
scelta del datore di lavoro
(presso il medico competente o presso i dipartimenti
di prevenzione delle Asl )
.
Ora una delle diverse fattispecie in cui la normativa
vigente prevede (ai sensi dell’art. 41 sopra citato) che debba essere esercitata
la sorveglianza sanitaria è quella prevista dall’art. 279 dello stesso D. Lgs.
n. 81/2008, “
qualora dall’
esito della
valutazione dei rischi se ne rilevi la necessità per i lavoratori esposti ad
agenti biologici
”.
Da tali disposizioni ne consegue che il datore di lavoro - nel
caso in cui abbia accertato la sussistenza di rischi per i quali è obbligatorio
attivare la sorveglianza
sanitaria - abbia la facoltà di prevedere la visita medica anche in fase
preassuntiva per i lavoratori che dovranno svolgere funzioni negli ambienti di
lavoro in cui tali rischi si presumono esistenti.
Non si ritiene necessaria a tal fine che un’altra specifica
norma di legge e tanto meno che l’ACN preveda tale facoltà, che è da intendersi
riconosciuta a qualsiasi datore di lavoro privato o pubblico che esso sia, trattandosi
di un principio generale dell’ordinamento giuridico alla cui applicazione la
norma non prevede nessuna eccezione.
Invero fintanto che la scelta di attivare la sorveglianza
sanitaria in fase preassuntiva rimane una facoltà del singolo datore di lavoro,
specialmente nel caso della PA (a differenza del datore di lavoro privato)
potranno ingenerarsi
prassi difformi
per lo stesso tipo di rapporto professionale, a seconda dell’ente o azienda
pubblica competente.
E nell’ambito della medicina generale una tale applicazione
disomogenea potrebbe avere anche effetti discorsivi del sistema, considerata la
possibilità per un medico di medicina generale di avere attive contemporaneamente
due convenzioni con altrettante aziende sanitarie per lo svolgimento delle
medesime prestazioni.
Si omette qui ogni considerazione in merito alle note conseguenze
derivanti dall’eventuale giudizio
di inidoneità alla mansione specifica che potrebbe essere espresso dal
medico competente (in forma di inidoneità anche solo parziale o temporanea),
con la sola precisazione che - tenuto conto dell’organizzazione dei servizi e
delle effettive disponibilità aziendali in merito a possibili impieghi
alternativi - esse andrebbero comunicate preventivamente ai potenziali
candidati medici alla copertura dei posti vacanti di medicina generale.
Rimane in ogni caso valido il disposto di cui all’art. 41,
comma 9 del D. Lgs. n. 81/2008 secondo il quale
“avverso i giudizi del medico competente
,
ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso
ricorso, entro trenta giorni dalla data della comunicazione del giudizio
medesimo, all'organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo
eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del
giudizio stesso”.
Raffaele Bonora
[1] Vedi Cass. Pen.
Sez. U. n. 2 del 16.4.1988 sulla natura della prescrizione e qualità di
pubblico ufficiale del medico di famiglia. Tale parere (confermato da numerose successive
sentenze (tra cui Cass. Pen. Sez. U. n. 7958/92 e Cass. Pen. sez. VI n. 4072/94)
è da ritenersi pressoché unanime almeno sotto il profilo della responsabilità
penale (vedasi Cass. Pen. sez. V, n. 7234 del 06.06.1991 e n. 2258 del
15.12.2006, Cass. Pen. sezione VI, n. 4072 del 09.02.1994, Cass. Pen. Sez. I,
n. 2207 del 18.01.1995).
[2] Cass. sez. unite, 13.11.1996 n.
9957.
[3] cfr. Cass. pen. sez. IV,
16.4.14.8.2003, n. 34460
[4] Diverse sono peraltro le sentenze che
si sono pronunciate sull’argomento. Vedasi tra le altre: Cass. Pen. n. 36502 del 11/04/2008 in cui si affronta il tema dei
rapporti tra azienda sanitaria locale (ASL) e medico convenzionato sotto il
profilo dell’addebito di responsabilità per danni provocati da quest’ultimo.
[5] ACN per la
disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale 23 marzo 2005 (art.
36):
1. Lo studio del medico di
assistenza primaria è considerato presidio del Servizio Sanitario Nazionale e
concorre, quale bene strumentale e professionale del medico, al perseguimento
degli obiettivi di salute del Servizio medesimo nei confronti del cittadino,
mediante attività assistenziali convenzionate e non convenzionate retribuite.
Ai fini dell'instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale di
assistenza primaria, oltre che ai fini della corresponsione del concorso alle
spese per l'erogazione delle prestazioni del servizio cui all'art. 59, ciascun
medico deve avere la disponibilità di almeno uno studio professionale nel quale
esercitare l'attività convenzionata. Lo studio del medico di medicina generale,
ancorché destinato allo svolgimento di un pubblico servizio, è uno studio
professionale privato che deve possedere i requisiti previsti dai commi che
seguono.
2. Lo studio del
medico convenzionato deve essere dotato degli arredi e delle attrezzature
indispensabili per l'esercizio della medicina generale, di sala d'attesa
adeguatamente arredata, di servizi igienici, di illuminazione e aerazione
idonea, ivi compresi idonei strumenti di ricezione delle chiamate.
3. Detti ambienti
possono essere adibiti o esclusivamente ad uso di studio medico con
destinazione specifica o anche essere inseriti in un appartamento di civile
abitazione, con locali appositamente dedicati.
[6] Vedasi in: Chiarimenti
sugli obblighi del lavoratore autonomo in merito alla sorveglianza
sanitaria e alla partecipazione a corsi di formazione in materia di
salute e sicurezza sul lavoro. D.lgs 81/08, artt. 21 e 41 a cura di G. Porreca,
inserito in data 16 ottobre 2008. Vedasi sempre in : I
quesiti sul decreto 81 sulla formazione dei lavoratori autonomi alla luce
dei nuovi accordi stato-regioni: a chi spetta la formazione in base ai rischi
presenti nelle aziende presso cui lavorano? a cura di G. Porreca, inserito in
data 5 dicembre 2012.
[7] Come noto la visita medica preventiva in fase
pre-assuntiva è stata introdotta nell’ambito del D. Lgs. n. 81/2008 dal Dlgs 3.8.2009 n. 106 ed è tuttora
prevista. Il successivo Decreto Legge n. 69/2013 (conv. nella L. 98/2013 ),
fermi restando gli obblighi di certificazione previsti dal D. Lgs. n.
81/2008 per i lavoratori soggetti a
sorveglianza sanitaria, ha disposto la abrogazione di alcune disposizioni concernenti
l'obbligo di produrre certificati attestanti l'idoneità psico-fisica al lavoro,
tra cui anche quelli previsti per l’accesso al pubblico impiego.
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