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"Chi è lo “psicologo della sicurezza” in ambito aziendale?"

fonte www.puntosicuro.it / Salute

21/02/2014 -
Ospitiamo un articolo tratto da  PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato dallo psicologo della sicurezza presso un’azienda del Centro Italia, per meglio descrivere e spiegare quali sono i possibili interventi operativi di questa figura professionale.

Salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: un’esperienza operativa.
Lo psicologo della sicurezza può essere definito come “la figura che progetta e realizza interventi finalizzati a formare le persone affinché lavorino in sicurezza. Tale figura lavora in un’ottica sistemica secondo la quale stress, ambiente fisico, sicurezza dei macchinari, fattori psicosociali, cultura organizzativa, elementi individuali risultano legati da una circolarità causale e dipendono direttamente dalla gestione e organizzazione del lavoro”.
Di conseguenza lo Psicologo della Sicurezza in azienda realizza percorsi formativi sui temi della sicurezza, effettua valutazione dei rischi psicosociali, dei contesti ambientali, dei sistemi socio tecnici, della rispondenza tra principi ergonomici degli strumenti e dei mezzi di lavoro con il personale e le sue competenze. Realizza, inoltre, interventi multidisciplinari volti a diminuire i rischi individuali e del gruppo di lavoro.
Si può affermare che lo psicologo della sicurezza realizza quindi una vasta gamma di interventi che hanno ricadute non solo nell’ambito del benessere organizzativo ma anche sul piano economico, amministrativo e finanziario.
 
Descrizione dell’esperienza operativa.
L’azienda in questione è di dimensioni organizzative medio grandi (circa 900 dipendenti), leader nella progettazione e implementazione dei pali per la gestione del traffico della telefonia mobile. Intervistando il management era emerso che i lavoratori a rischio di altezza non osservavano le procedure codificate dal Servizio di Prevenzione e Protezione.
Nello specifico, i dipendenti a rischio altezza, non rispettando adeguatamente le procedure di presa in consegna e di restituzione dei DPI, causavano una usura accelerata dei dispostivi stessi. Ciò comportava per l’azienda un grave danno economico: in media ogni DPI individuale aveva un costo di circa 1.500 euro. I lavoratori a rischio altezza erano 85 (costo totale circa 127.500 euro) e, dopo il primo anno di attività il 40% dei DPI era inutilizzabile, con una perdita pari a circa 51.000 euro.
Si è deciso di intervistare, attraverso incontri di gruppo, i capi squadra dei dipendenti a rischio altezza, incontri da cui è emerso, da parte dei dipendenti stessi, uno specifico atteggiamento cognitivo verso il sistema sicurezza: “I lavoratori erano fortemente convinti che o il caso o la fortuna fossero in grado di determinare il corso della loro esistenza. Se qualcosa doveva accadere, accadeva, indipendentemente dagli accorgimenti che si potevano adottare. Rispettare le regole, le procedure era solo una fatica in più che toglieva tempo al lavoro da svolgere”.
 
Livelli di intervento
Alla luce di questa scoperta si è optato di intervenire su tre diversi livelli.
Un primo livello è consistito nella riformulazione del controllo amministrativo, analizzando le procedure esistenti e verificando la possibilità di renderle più fruibili dai lavoratori. Nello specifico è emerso che le procedure operative per la gestione dei DPI contenevano, a livello comunicativo, troppi passaggi descrittivi. Ciò incideva negativamente sul livello di impegno applicato nel leggere, comprendere e apprendere le suddette procedure. Si è quindi proceduto a semplificare le procedure stesse.
Il secondo livello di intervento è consistito nella riformulazione del controllo sociale. È emerso, infatti, che i dirigenti e i capi squadra non sanzionavano in modo efficace i comportamenti non adeguati in termini di sicurezza messi in atto dai lavoratori a rischio altezza. È stato quindi condotto un training comportamentale verso i capi squadri dei lavoratori a rischio altezza e verso i dirigenti che gestivano tale area operativa, al fine di promuovere nuove competenze cognitivo – comportamentali e, quindi, passare da un modello di Leadership del tipo ‘Vivi e lascia vivere’ a un modello di tipo ‘Autorevole’.
Il terzo livello di intervento, infine, è consistito nella riformulazione del controllo individuale. I lavoratori a rischio altezza sono stati coinvolti attivamente nella gestione dei DPI rendendoli non più soggetti passivi ma soggetti attivi verso il sistema sicurezza, e consegnando ad ognuno di loro le procedure. Per consentire il passaggio da una gestione passiva delle procedure della sicurezza a una gestione attiva si è adottato, come modello teorico di riferimento, il costrutto del Locus of Control. Si è concordato con i lavoratori di sperimentarsi nel passaggio da una percezione della sicurezza determinata da fattori esterni (il caso, la fortuna …) a fattori interni (io sono responsabile delle mie azioni e delle conseguenze che derivano da esse). I lavoratori a rischio altezza sono stati suddivisi in sottogruppi e mediante interventi focalizzati si è realizzato il contratto concordato. Sono stati organizzati tre incontri durante i quali si è lavorato su che cosa si intende per controllo interno e controllo esterno, e se veramente gli esiti dei comportamenti che si realizzano dipendono dal caso.
 
Analisi dei risultati
Dopo sei mesi dall’intervento si è rilevato che i comportamenti inefficaci erano mutati in maniera significativa. Sono state adottate delle schede di osservazione utilizzate dai capi squadra e dai magazzinieri per monitorare il mutamento dei comportamenti posti in essere dai dipendenti a rischio altezza.
Confrontandosi a un anno dall’intervento con il centro costi della azienda si è potuto verificare come la perdita verso i DPI per lavoratori a rischio altezza era scesa al 15%. Dopo due anni al 7%.
 
 
Di Gianluigi Roscini
Psicologo e psicoterapeuta è specializzato in progettazione ed implementazione di Sistemi Qualità: Vision 2000
 

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