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"Dalla privacy al lavoro cresce il ricorso alle strutture per la gestione della crisi "

fonte Italia Oggi , Martino Valente / Sicurezza sul lavoro

06/09/2010 - Gestire le crisi in un mondo sempre pi insicuro ed esposto al rischio. L'incidente di Bp nel Golfo del Messico, il modello iPhone messo sul mercato troppo precipitosamente, i tanti richiami della Toyota e le mozzarelle blu in casa nostra con Granarolo. La c mpetizione esasperata, la spinta a conquistare nuovi mercati e la crisi economica creano le condizioni per la crescita di rischi che sono globali e locali, geo-politici, antropici o naturali. E a disinnescare le tante «bombe»» pronte a deflagrare e investire le aziende sono i manager delle crisi. Gli specialisti che intervengono quando il rischio si materializza, l'allarme è rosso e il gioco si fa duro. In palio, la sopravvivenza dell'impresa. Sono circa 500 in Italia, 270 iscritti a un specifica associazione (Aipsa) che tenta di promuovere la cultura della prevenzione e serrare i ranghi di una professione a lungo rimasta di nicchia e oggi spinta da grandi potenziali. «Finora solo le grandi aziende hanno capito davvero che fare prevenzione del rischio non è un costo ma un investimento, ma anche queste sono il 7-10% rispetto al 90% di piccole e medie aziende che non si spingono oltre il rispetto delle normative in materia di sicurezza e rispetto della privacy. Ma il vento sta cambiando»». Parola di Giuseppe Femia, ex manager della security di Vodafone e presidente dell'Associazione. E in effetti, qualcosa sta cambiando. «Ai miei tempi questa carriera era un corollario a una vita nell'arma, si intraprendeva superati i 50 anni dopo tanti anni di servizio»», racconta il manager della sicurezza Telecom Damiano Toselli. «Oggi invece giovani colleghi smettono la divisa presto per una carriera nella security privata». Perché il mondo è cambiato e si è fatto pi incerto aprendo nuovi spazi agli uomini della security. Dal 2001, anno dell'attacco alle Torri, il concetto di rischio si è elevato e la legislazione internazionale ha introdotto criteri stringenti per il controllo e il contenimento. Anche il legislatore italiano si è svegliato e sta mettendo nuovi paletti al rischio in azienda. Con il Testo unico 81 ha sostituito la vecchia 626 ampliando il concetto di rischio a nuove tipologie e comprendendo in particolare i rischi «atipici»» , cioè quelli esterni all'attività lavorativa e che il datore di lavoro deve valutare per proteggere il dipendente sia nei confini nazionali sia all'estero. Ed è stato poi ancora pi incisivo elaborando la legge 231 che riconduce la responsabilità in capo ai vertici aziendali per alcune tipologie di reato, come l'omicidio colposo o doloso. «Ogni sei mesi c'è un aggiornamento della normativa che estende a nuove aree la responsabilità degli amministratori»», spiega forse il pi esperto analista di processi formativi in ambito security. Paola Guerra Anfossi, figlia di militari, è stata docente di un master firmato Bocconi che è stato fucina di decine di grandi manager in grandi imprese. «La legge è partita come una sorta di Serban-Oxley all'italiana, con i rischi di tipo finanziario, e ha inglobato i rischi informatici e relativi al personale. Presto toccherà a quelli ambientali». Insomma, dalla responsabilità delle emergenze e degli incidenti non si scappa pi . E questo, prevedono gli esperti, riporterà in auge la figura del manager della security. Ma chi sono? Figure schive, di estrazione militare che spesso rimangono nell'ombra pur facendo tanta strada. Sono nate infatti negli anni Settanta come risposta aziendale al rischio del terrorismo interno di natura politica. Poi sono state centrali nella fase di conversione tecnologica che ha visto le imprese negli anni Novanta mettere tutte le informazioni sensibili su supporto informatico. «Le imprese hanno capito che tra i rischi prendeva piede anche quello di un attacco ai beni non più fisici ma anche a quelli intangibili come i dati, i brevetti, le informazioni e la privacy e c'è stato il grande salto di qualità: i professionisti della security hanno smesso i panni di uomini delle operations e hanno vestito quelli del manager, spiega Paola Guerra. Tanto potere, un legame sempre stretto con gli amministratori che a volte ha prodotto sodabzi pericolosi come è emerso dalla stagione degli scandali con i dossier illegali confezionati dalla security di Telecom. Alla fine, la normativa costringerà ogni imprenditore o amministratore a lavorare sull'analisi di rischio. Anche sulla grande impresa nazionale a breve ci sarà una stretta per effetto della direttiva europea 114 del 2008. Entro il 12 gennaio 2011 ogni paese europeo dovrà stilare l'elenco delle infrastrutture critiche, presentare piani di salvaguardia e nominare un funzionario a capo dei piani di sicurezza. Su questo fronte è impegnata la Presidenza del consiglio che ha affidato l'incarico di coordinamento al direttore generale della segreteria interministeriale per le infrastrutture critiche Luisa Franchina . «Si parte da settori specifici come energie e trasporti>, dice il funzionario già delegato italiano per la Protezione civile presso la Nato. «Ma la valutazione degli indicatori deve tenere conto degli effetti potenziali su tutti i settori economici e sociali, anche non appartenenti ai settori specifici succitati. Come ad arginare un rischio Bp in Europa. E per l'esercito dei professionisti della sicurezza sarà una nuova chiamata alle armi. Ma che cosa fanno? Una ricerca condotta proprio dalla Guerra Anfossi in collaborazione con Isabella Corradini, presidente del Centro Ricerche Themis, ha recentemente fatto il primo identikit dei manager italiani delle crisi. L'indagine è stata svolta in due tempi su 120 associati all'Aipsa. E quello che emerge per la maggior parte dei professionisti è una comune estrazione militare. Arrivano dall'esercito o dall'Arma dei carabinieri, in pochi casi dal management aziendale. Alla fine degli anni Ottanta, con il crollo del Muro di Berlino, hanno scelto tra un ruolo impiegatizio nelle retrovie dei corpi in cui erano impiegati e la prospettiva nuova e pi allettante di intraprendere una carriera in azienda. anno nomi e funzioni diverse: dall'head of security (23%) al responsabile security (15,45) fino alla denominazione semplice di «direttore». Interessante è lo spaccato sul posizionamento nell'organizzazione che vede per il 42,9% dei security manager alle dirette dipendenze del ceo o dell'ad, a conferma del posizionamento verticale nella scala gerarchica delle figure della sicurezza (il 2 1,4% dipende dall'area risorse umane e il 14,3 dagli affari generali). La riprova nella graduatoria delle aree presidiate che per il 92% è fatta di beni patrimoniali, per l'84% i beni intangibili, per il 61,5% di rischi legali, reputazionali e tecnologici e solo per i 38% di rischi di safety legali agli adempimenti di legge pi elementari di security (dalla ex 626, Iso, privacy). Insomma, la sicurezza si conferma ruolo strategico al business. Corollario di questa spinta verticistica (e delle ambizioni positive tipiche del ruolo), il fatto che nei desiderata dell'head of security al 38% c'è un evoluzione verso la direzione centrale. Tra le competenze orizzontali spiccano la leadership (85%), il problem solving (69%) e le capacità decisionali in caso di crisi (62%).

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